(di LAVINIA SPALANCA)
Tre storie s’intrecciano nel secondo libro di Melania Mazzucco, intitolato La camera di Baltus (Baldini&Castoldi, 1998): quella di Maestro Enrico, pittore della fine del Quattrocento, autore degli affreschi della camera che dà il titolo al romanzo; quella di Arsenio Ventura, il critico contemporaneo chiamato a dare un giudizio sugli affreschi; quella, infine, dell’ufficiale napoleonico Baltus, che ha vissuto le sue ultime ore nella camera che da lui prende il nome.
Romanzo ad incastro, in cui si avvicendano le storie e si mescolano i generi, e in cui gli scarti temporali sono unificati da corrispondenze interne, in un gioco di specchi che lega i personaggi, i luoghi e le vicende narrate. È un «castello dei destini incrociati» quello che ospita la camera di Baltus; la stanza si trova infatti sulla torre della fortezza di Bastia del Garbo, la cui topografia è riprodotta su una pagina del libro.
Il castello non è soltanto un luogo fisico ma una metafora dell’architettura stessa del romanzo, tanto che i titoli di ciascun capitolo vengono a coincidere con le pareti del castello (Parete est, nord, sud, ovest). Il castello è dunque un vero e proprio cronotopo, una cornice spazio-temporale unificante, al centro di tutte e tre le storie, ma è anche un luogo soggetto alle devastazioni del tempo; il «castello dei destini incrociati» di Bastia del Garbo è anche, per usare un’altra espressione cara a Calvino, il centro di una «speculazione edilizia», poiché è destinato ad essere frazionato in miniappartamenti e multiproprietà da un imprenditore senza scrupoli.
L’ossessione del tempo che devasta e cancella i segni del passato costituisce, del resto, il leit motiv del romanzo: l’affresco che decora la camera di Baltus è ridotto, oramai, ad un insieme di scaglie, schegge, frammenti, ma alla luce di una lampada i suoi resti riaffiorano e le immagini opache si rianimano e si trasformano in racconto. «Il tempo è reversibile come un nastro di macchina da scrivere», diceva Eugenio Montale, citato nell’epigrafe del romanzo, e del resto il concetto montaliano di reversibilità del tempo è fatto proprio dalla Mazzucco, che lo traduce in strategia narrativa: l’autrice, infatti, alterna passato e presente, ambientando le storie in tre epoche diverse, e la narrazione non segue un andamento lineare, ma si fonda su un continuo scambio di piani spazio-temporali. Secondo modalità analoghe, nel romanzo Lei così amata (2000), biografia romanzata della scrittrice Anne Marie Schwarzenbach, la Mazzucco segue l’andirivieni della memoria per rappresentare le vicende della protagonista, oppure intreccia il tempo presente col tempo passato per raccontare l’epopea degli emigranti italiani in America, nel suo ultimo romanzo Vita (2003).
Emblematica della concezione temporale, che presiede all’elaborazione de La camera di Baltus, è la descrizione, posta in limine, dell’affresco che decora le pareti della stanza:
Di tanto in tanto una scaglia, un profilo, lo strascico di un vestito, una lancia, una gamba, una mano, si sbriciolano in coriandoli di malta. I colori cedono. Si aggrumano, si screpolano, si staccano […] Ma alla luce oscillante di una lampada quei relitti, quelle ombre sembrano muoversi […] E allora, da scena a scena, da un gesto all’altro, ricomincia il racconto delle donne e degli uomini, della libertà e della solitudine, della visione e del buio – armonia e dissonanza, linea e circolo, stasi e movimento (La camera di Baltus, p.9).
Attraverso un procedimento di ecfrasi, caratteristico anche del romanzo d’esordio della Mazzucco, Il bacio della Medusa (1996), le immagini affrescate si animano, prendono forma, diventano esse stesse narrazione molteplice e drammatica. Se l’affresco è al centro delle tre storie incrociate, ambientate in tre epoche diverse, la varia configurazione dei caratteri grafici è funzionale a distinguere i tre piani temporali intrecciati: il corsivo per raccontare la vicenda di Maestro Enrico e del suo amore impossibile per una mistica di nome Alma, che abita nel castello di Bastia del Garbo; il tondo per raccontare la storia di Arsenio Ventura e della sua donna, Luisa Sanacore, che abita come Alma, ma con cinquecento anni di distanza, nella stessa fortezza medievale; un altro carattere per rievocare le gesta dell’ufficiale napoleonico Baltus.
Esiste una specularità tra i personaggi maschili del romanzo: Maestro Enrico, che non trova l’ispirazione per dipingere, è nostalgico del passato così come Arsenio è un personaggio «anacronistico»; entrambi sono uomini irrisolti, ladri delle idee altrui. Il pittore e il critico d’arte si differenziano invece dalla figura dell’ufficiale Baltus, «personaggio stendhaliano» e unico eroe del romanzo, che ha combattuto sacrificandosi per la Rivoluzione. Un gioco di contrasti e analogie caratterizza anche i personaggi femminili, come Alma e Luisa, donne enigmatiche e inquietanti, dalla bellezza sfiorita che le rende preziose, presenze-assenze che ricordano certe figure montaliane e che, è il caso di Luisa, non vivono in sintonia col proprio tempo, come l’eroina romantica di nome Luisa, protagonista de Il castello incantato di Ludwig Tieck.
Attraverso queste donne così eteree e impalpabili la Mazzucco conferisce al racconto un’atmosfera onirica, quasi fiabesca; il sogno, tuttavia, è destinato a tramutarsi in incubo quando il castello di Bastia del Garbo viene minacciato dalla speculazione edilizia: è stato infatti acquistato da un laido imprenditore di nome Postumo Drago che, a differenza del drago delle fiabe, non difende l’impenetrabilità del castello ma vuole frazionarlo in multiproprietà. La scoperta dell’affresco, contenuto nella camera di Baltus, distrugge i suoi piani ambiziosi; in seguito al restauro il critico Arsenio Ventura verrà invitato a fornire un expertise sulle pitture. La relazione del critico d’arte diventa allora un pre-testo, da parte dell’autrice, per una riflessione critica sull’attuale processo di disgregazione che coinvolge il nostro Paese, paragonato ad un affresco ridotto ad un insieme di scaglie:
Lontano migliaia di chilometri, [Arsenio] pensa che l’Italia si disgrega, si sfalda, si decompone e non s’intravede nessuno che possa stuccarne le lacune. Le mancanze. I buchi. L’Italia non è un affresco di cui si possano riassemblare le parti cadute, i frammenti, le scagliette, le esfoliazioni che il tempo e gli eventi hanno portato a separarsi, distaccarsi, sollevarsi. Non si possono usare collanti né fissativi. È come se niente tenesse più insieme la materia di cui è fatta, e ogni giorno una scaglia di memoria, di coscienza, di unità, si distaccasse dal muro, lasciandosi dietro solo il suo vuoto – e ogni parte per sé, e nell’insieme più nulla (La camera di Baltus, p. 237).
Dall’expertise di Arsenio emerge che il tema dominante dell’affresco è la Metamorfosi; se la sua relazione dà il destro, all’autrice, per una parodia del linguaggio tecnico del critico d’arte, si possono leggere tuttavia, dietro le parole del personaggio, anche possibili dichiarazioni di poetica, soprattutto l’idea del romanzo come specchio del mondo, destinato a riflettere una realtà labirintica e pulviscolare:
Alla fine l’affresco si sarebbe come ricomposto e spiegato da sé. Ma col trascorrere del tempo mi sono accorto che non sarebbe stato così semplice, perché l’affresco non è un puzzle scomposto e tagliato in pezzi dopo essere stato ideato: al contrario, si è disgregato nell’attimo stesso in cui veniva progettato e mi sono ritrovato a tentare di rimettere insieme un’unità ideale che non è mai esistita […] a lasciare degli spazi, dei vuoti, delle lacune che non saranno mai riempite, a contaminare, scatenare una fantasia combinatoria e analogica: e soltanto adesso, alla fine di tutto, a riconoscere in me stesso uno dei pezzi mancanti – e forse il principale (La camera di Baltus, p. 360).
Ciò che emerge con più forza è, soprattutto, la rinunzia ad ogni pretesa di ricomporre i frammenti in unità, e la consapevolezza dell’azione dissolvitrice del tempo. La scrittura può costituire quasi un esorcismo della realtà, anche se non vi è alcuna certezza, da parte dell’autrice, di vincere la sfida al labirinto. Nel gioco combinatorio, talvolta, ci sono spazi che non potranno mai essere riempiti.
maggio 2004