Lug 06

“Cuore di madre”, Roberto Alajmo

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(di NATALE TEDESCO)

Pubblicato da Mondadori nel 2003, Cuore di madre è il quinto libro di Roberto Alajmo. Il più impegnato sul piano inventivo, anche se per intendere a pieno le sue doti referenziali, di cronista, e anche quelle ironico-grottesche, si devono ricordare Notizia del disastro (Garzanti, 2001 Premio Mondello) e Le scarpe di Polifemo (Feltrinelli, 1998); e senza dimenticare i curiosi esordi Repertorio dei pazzi della città di Palermo (Garzanti,1994), Almanacco delle morti presunte (Edizioni della Battaglia,1997).

Rappresentazione e racconto di una tragedia, Cuore di madre risulta un vero e proprio dramma, forte, di complesso spessore semantico. In rapporto a ciò si evidenzia una formalizzazione omologa. Voglio dire che questo dramma è reso con uno straordinario esercizio stilistico, meno ostentato quanto strenuo (e solo in forza di ciò evita una referenzialità di realismo spicciolo, da cronaca nera).

Ci troviamo davanti ad una narrazione al presente: dalla prima all’ultima pagina viene usato il tempo presente, che porta in primo piano ogni minima parte del racconto, ogni raccordo dell’azione. In linguaggio cinematografico si potrebbe dire una continua, inesausta zumata di iterati primi piani: come un campo sequenza ininterrotto ma bloccato. E si veda anche l’utilizzo di riferimenti a procedimenti televisivi. Ovviamente questa narrazione al tempo presente è condotta con un periodare breve, periodi di frasi quasi uniproposizionali. Ciò è al servizio del clima ossessivo che realizza la tragedia, una tragedia senza enfasi, tanto meno con tonalità melodrammatiche. L’ossessione è ottenuta da una procurata freddezza che può semmai intrudere nel dramma il grottesco. Ma si tratta di un grottesco congelato in registrazione distaccata di un’impassibile osservazione che non pare dare luogo ad emozioni, a sentimenti.

La figura di Cosimo Tumminia, il protagonista della vicenda cui si è appiccicata addosso la fama di menagramo, è del tutto consona a questo ruolo: egli ha l’aria dimessa, è magro, è triste; ma altre caratteristiche (“E’ isolato. E’ taciturno”) servono a farne il personaggio che diventa complice di segreti e improbabili sequestratori, fino a compiere un delitto, promuovere un assassinio, che è ineluttabile, quanto paradossale per come avviene. Nella sua esistenza rutinaria l’evento che la turberà, si presenta con la semplicità di tutti i fatti e gli atti della quotidianità più dimessa: “Oggi deve andare via un po’ prima perché a casa gli portano il bambino che dovrà tenere nascosto”.

Ai sentimenti, dalle emozioni che li suscitano, si giunge per allusioni, per adombramenti che causano incomprensioni. Un gesto che vorrebbe essere carico di affettività, di benevolenza, di apertura, si trasforma nel suo contrario. E’ il caso della visita che Cosimo fa al suo piccolo segregato, quando vuol pure fargli “una carezza tranquillizzante sulla testa, un modo per entrare in contatto con lui”, ma suscitando solo urla e paura. Il “messaggio rassicurante” che egli vuole trasmettergli, viene incompreso. Emerge così, ancora meglio, la difficoltà di Cosimo di rapportarsi con gli altri, e, indirettamente, la sofferenza che è in lui per questa sua incapacità, senza cioè che egli mostri coscienza di questo intrinseco patire. In situazioni siffatte, è il personaggio che si racconta esprimendo pensieri e sentimenti, ma è anche il narratore che li illumina e spiega penetrando in lui. Partito da una focalizzazione esterna della prospettiva narrativa il narratore partecipa di quella interna portata avanti dal personaggio.

Schiacciata sul presente, la storia sembra stringersi nel privato, murarsi si potrebbe dire in ambiti, ambienti ristretti, quasi sempre nei suoi momenti cruciali, chiusi e asfittici. Frammenti di vita minore, comportamenti, abitudini culinarie tipici peraltro dell’area del palermitano: il brociolone, la pasta con le sarde a mare, un modo di preparare un piatto senza il suo ingrediente principale, consuetudine dovuta alla mancanza di soldi, a sofferenza intestinale o, ancora, al fatto che in alcuni mesi dell’anno non si pescano sarde. Qui vi sono usi lessicali e fonetici, morfologici ‘erronei’, fra dialetto e gergo: “voglio vedere come fai senza la penzione…”; “Inzomma. Speriamo che la pasta ci piace”; “C’ho fatto prendere un poco d’aria. Mischino, tutto ‘stu tempo dentro casa”. Questo tipo di fraseggio smozzicato è condotto molto bene, dà risultati efficaci nella conversazione con il campeggiatore, fortuito cliente, e soprattutto nei battibecchi con la madre, un dialogare da teatro dell’assurdo, alla Beckett. E forse più alla Pinter, per un dialogato sceneggiato ambiguamente, volutamente inadeguato.

In realtà questo microcosmo non sarebbe senza un ancoraggio ad ambiti societari più ampi. Anzi, questo microcosmo, punto focale, è speculare a quell’ambito. Così che risulta appropriato e felice il rapporto tra privato e pubblico, tra società e luoghi naturali. Solitudine e desolazione nella piazza del paese, desolazione e solitudine nella casa isolata fuori dall’abitato. E direi che si tratta di un connubio, che usufruisce di interrelazioni di vario genere. Lo svolgimento dell’azione, specie nelle parti finali della vicenda, si attua nella stanza della casa del delitto, secondo i tempi e i ritmi che si compiono sullo schermo televisivo. E non bisogna dimenticare che ci troviamo in un mondo quasi arcaico, certo arretrato, immobile dove la televisione introduce una nota di modernità sconvolgente con la sua autorità comunicativa. Se in televisione non si parla del bambino allora si può mettere in dubbio che il rapimento sia avvenuto. La televisione certifica la realtà: i fatti sono veri se a parlarne è la televisione. L’azione in televisione fa da controcanto all’ideazione dell’assassinio, con la sconvolgente sorpresa che a compierlo è la madre. Ma questa è l’invenzione più originale del romanzo di Alajmo, perché egli chiude nella sua infelicità imbelle il giovane Cosimo e fa di lui un’altra vittima della sordida e amorale società in cui trascina la sua esistenza. Giova a creare il clima di insulsa ma non per questo meno terrificante tragedia, l’attenzione alle condizioni meteorologiche seguite con l’ascolto radiofonico delle previsioni del tempo. In realtà la temperie culturale fra il grottesco e il tragico sembra nascere nella dimora naturale della calura estiva che opprime Calcara, il paese dove vive stremato Cosimo:

“È cominciata la stagione che a Calcara risulta sempre uguale a se stessa. Non c’è da sperare che domani faccia un tempo diverso da quello di oggi o da quello di ieri: fa, ha fatto e farà sempre caldo. Ieri, oggi e domani, da maggio a settembre: caldo. Oppure, in certi giorni: molto caldo. Da maggio in poi, difatti, Cosimo sposta la sedia su cui trascorre la giornata leggermente all’interno dell’officina, alla ricerca dell’ombra. E sempre alla ricerca dell’ombra continua a spostarla per tutto l’arco della giornata. Facendolo, ogni volta guarda l’orologio, e in questo modo ha l’esatta percezione di come le giornate diventino progressivamente più lunghe o più corte. Quella che fino a pochi giorni fa a quest’ora era una nicchia di sollievo, appena oltre la soglia, adesso è pieno sole. Cosimo sposta la sedia e pronuncia un paio di quelle parole che dice a se stesso, in mancanza di interlocutori: “ ’Stu sole…” Finora quest’anno è andata tutto sommato bene, nemmeno una giornata di scirocco. Cosimo teme soprattutto l’avvento dello scirocco.” (p.37)

Per un brano come questoè facile pensare subito all’incombere del sole nello Straniero di Camus. Ma l’interiezione “ ‘Stu sole” denuncia l’avvenuta volgarizzazione, cioè l’avere voluto portare sul tono basso un modello letterario. Poi, in verità, la scansione dei particolari dello svolgersi delle giornate di calura, l’esplorazione e dichiarazione delle sensazioni che provoca, rivelano un procedere, un narrare minimalistico che rinviano soprattutto alla poetica dell’insignificanza, dell’antifrastica formalizzazione dell’insignificante, di Brancati. Del grande scrittore, Alajmo riprende la tecnica appunto antifrastica di riferirsi a grandi avvenimenti, grandi fatti, nel caso, di parlare del subdolo potere mafioso senza mai nominarlo direttamente. Una vita rutinaria squallida, intristita dal bisogno e dalla povertà, senza spessore, anche se intorbidata dal delitto, assume il suo valore di controespressione di una situazione di costrizione, di sopraffazione nel più generale dramma della società italiana, e siciliana in particolare:

“Certo, però, da quando la pensione del padre si è esaurita le cose sono andate sempre peggio. Negli ultimi mesi, malissimo. E’ per questo che ha accettato di tenere il bambino. Non aveva scelta. Non gli fa piacere correre i rischi che sta correndo, lui che non ha corso praticamente nessun rischio in vita sua. A parte il fatto che se ti chiedono certe cose, quelli sanno in partenza che gli risponderai di sì.” (p. 29)

Ad Albert Camus si torna a pensare per l’inesistente motivazione reale dell’assassinio, per l’assurdità di un mondo dominato dal non senso, ma qui in Alajmo, ancora con le tonalità minime che non prevedono nessuna rivolta. Viene fuori l’assoluta indifferenza morale in cui sono chiusi i personaggi. E’ sintomatica la chiave minore, e tutta di questo scrittore, con cui essa si manifesta: mentre si prova l’assassinio, l’attenzione alla cottura delle zucchine; dopo il seppellimento dello sventurato bambino, l’attesa per il possibile rimprovero materno per l’intenzione di bere l’acqua fredda del frigorifero. Il legame materiale con la madre spiega l’infantilismo di Cosimo e con che ‘cuore di madre’ essa si sia sostituita al figlio nel compiere il delitto.

Questa assurdamente ‘provvida’ donna fa risaltare l’umorismo tragico della vicenda, che non a caso è collocata al centro dell’isola siciliana: in definitiva non si tratta che di una riduzione parodica del mito della madre mediterranea. In questo senso, più che ai grandi miti antichi, il riferimento va alla recente tradizione letteraria isolana, che da Brancati a Sciascia ci dice delle opprimenti, avvolgenti madri siciliane disposte alla protezione come alla fagocitazione dei figli.

 

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