Contiene un massimo di allusività e un minimo di referenzialità il titolo del penultimo libro di Roberto Alajmo, Notizia del disastro (Garzanti, 2001): il romanzo è la ricostruzione delle storie dei “sommersi” – i 108 passeggeri del DC9 Roma-Palermo schiantatosi in mare il 23 dicembre 1978 – e dei terribili secondi, sospesi tra la vita e la morte, che hanno preceduto l’impatto; ma è anche la ricostruzione delle vite ulteriori dei “salvati”, i 24 superstiti dell’incidente, le cui testimonianze, unite a documenti ufficiali, verbali d’inchiesta, registrazioni radio, costituiscono la struttura del romanzo.
A dispetto del titolo, notizia, Alajmo non rievoca un caso di cronaca recente, ma una sciagura aerea avvenuta più di 20 anni fa: si tratta quindi di un’operazione a posteriori, per cui non conta semplicemente informare sulle dinamiche dell’evento, bensì comunicare qualcos’altro. Più che l’istanza informativa, è l’ossessione della morte e dell’insensatezza del destino che ha spinto lo scrittore a raccogliere e catalogare testimonianze, frammenti di memoria; l’autore del Repertorio dei pazzi della città di Palermo e dell’Almanacco delle morti presunte, costruisce con questo romanzo il suo personale ‘repertorio dei morti’,collezionando e assemblando le tessere di un mosaico, mosso dall’esigenza di mettere ordine nel disordine delle informazioni, ma anche di dare il senso della drammaticità dell’evento, che ha coinvolto un numero enorme di persone.
Il romanzo si apre con un attacco epico, da cunto popolare: «Questa è la storia di come morirono e di come vissero centoventinove persone che si chiamavano…». Se la ricostruzione dei fatti attraverso i documenti fa rivivere al lettore la tensione di quegli attimi terribili, la visione, al ralenti, del momento vero e proprio dell’impatto, inscrive tutta la vicenda in un’atmosfera surreale:
L’aspetto più surreale, dal punto di vista del comandante Verduci, era il silenzio. Tutto quel disastro di schiuma e di metallo era avvenuto nel silenzio più completo
Pensò:
«Sembra finto, sembra un modellino d’aereo».
E subito scese sottocoperta a chiamare i suoi
(Notizia del disastro, p. 13).
È proprio l’apparente freddezza della narrazione che ci trasmette la terribile verità del fatto; purtuttavia la rievocazione delle vite dei sopravvissuti, i “salvati”, intrecciata con quella dei morti, i “sommersi”, implica un incremento d’inventività: tutto ciò che la Storia non può raccontare, le emozioni, i timori, la rete delle coincidenze, ce lo racconta la letteratura. Il distacco del narratore lascia allora il posto alle emozioni dei protagonisti, e il ritmo si fa più accelerato in concomitanza con la ricostruzione dei momenti cruciali del disastro.
Normalissimi ed eccezionali sono i personaggi del romanzo, come Francesco Zumbo, da eroe per caso (ha salvato nell’incidente una madre e una figlia) a leggenda metropolitana: dopo il disastro subì altri due incidenti, rimanendo miracolosamente illeso, o come Federico Giacalone, precedentemente scampato al disastro aereo di Montagna Longa. Ma i personaggi più interessanti sono Annalisa Bufacchi, la hostess dell’aereo, e Giuseppe Cravotta, salito sull’aereo successivo al DC9, e che s’inventò di essere scampato al disastro. Annalisa Bufacchi sale sull’aereo maledetto per una serie di fatali coincidenze. Tra gli effetti personali ritrovati nella sua borsetta, di cui il narratore-collezionista ci fornisce l’elenco dettagliato – una sorta di repertorio-reliquiario – c’è anche l’Antologia di Spoon River di E. L. Masters, anche questo, guarda caso, un ‘repertorio dei morti’.
Alajmo non indulge in alcuna enfasi retorica e si serve di una scrittura ‘eufemistica’, come dimostra la vera e propria “notizia del disastro”:
“Non ci fu mai una comunicazione ufficiale, ma nel frattempo la notizia si era risaputa e nelle sue differenti versioni – attentato o incidente, con superstiti o senza, in mare o sulla montagna – rimbalzò subito di bocca in bocca, con ognuno che ci aggiungeva la sua dose personale di speranza o di pessimismo. L’ufficialità arrivò dopo molto tempo, quasi silenziosa, quando il tabellone degli arrivi ebbe un lungo frullo di alette e si stabilizzò su: VOLO AZ4128 ROMA – PALERMO e accanto, più in piccolo: NON ATTERRATO” (Ivi, p. 74).
Se la comunicazione ufficiale, nella sua asetticità, lascia percepire la gravità dell’incidente, la serie di innumerevoli versioni, variazioni e aggiunte che ne seguirono, traduce l’indecifrabilità della realtà, come anche la difficoltà della ricostruzione fatta dall’autore. Ci induce ad una riflessione sull’operare del romanziere il riferimento, nel libro di Alajmo, ad un altro libro, quello scritto da Enza Toscano, la madre di uno dei “sommersi”, che attraverso un «lavoro dettagliato di carte e pendolo», fidandosi di una serie di precognizioni, ha cercato la verità sul disastro. Alajmo, invece, fedele al proprio imprinting giornalistico, si basa su testimonianze vere, per quanto contraddittorie, investigando una realtà già di per sé romanzesca attraverso gli strumenti del cronista, anche se di un cronista sui generis.
Alla ricostruzione delle vite dei sopravvissuti segue la ricostruzione del reperimento dei corpi in fondo al mare, effettuata dai sommozzatori della marina militare. Il rituale di riconoscimento, l’elenco dei morti, il conto dei dispersi ripropongono l’ossessione del narratore per il catalogo, e l’oggettività dello stile lascia il posto alla rappresentazione dell’orrore dei corpi ridotti a «un intrico di braccia e gambe» o simili, come il corpo di un bambino, a «una bambola di gomma bianca». Man mano che si corre verso l’epilogo la prosa asciutta, rarefatta e scarna del romanzo, che procede per accumuli di nomi, numeri, dati, si fa sempre più tesa e nervosa, come nella terribile conclusione:
“Il DC9 Isola di Stromboli, lungo trentadue metri e pesante quarantaquattromila tonnellate con le sue centoventinove persone a bordo, rimase sospeso a pochi metri dal mare per la durata di nove secondi.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto e nove” (Ivi, p. 185).
Cronaca e memoria, storia e invenzione, causalità e casualità, insensatezza del vivere e necessità di dare senso alla realtà si fondono in questo romanzo, un’investigazione sul passato che si fa ipotesi romanzesca, alla maniera dei romanzi storici di Leonardo Sciascia, che raccontano l’impostura della storia ma anche l’eticità della scrittura che si sforza di ricostruire la verità. Romanzo polifonico, che dà voce ai sopravvissuti, colleziona le loro vite, racconta le loro storie, come sapeva fare anche il giornalista-scrittore Dino Buzzati, autore di “cronache fantastiche” e resoconti romanzati ispirati alla realtà.
Notizia del disastro è anche un esempio di letteratura civile, come quella di Carlo Lucarelli, che ha ricostruito tanti misteri d’Italia, o come il “teatro civile”, di Marco Paolini e Marco Baliani. Ma ancor di più, alla maniera di Albert Camus, citato in epigrafe, il romanzo di Alajmo è la rielaborazione di un lutto, il tentativo di esorcizzare il non-senso, la follia, la morte, nella terribile consapevolezza dell’assurdità dell’esistenza.