Lug 08

Hyacinthe

Hyacinthe Mabille, diciannove anni, figlia della ricca borghesia parigina, madre di due figli, compagna di Pierre, e quindi “di fronte all’amore” (p. 19) nuora della straordinaria Olympe De Gouges, per se stessa è solo un piccolo “gufo insonne” (p. 3).

Hyacinthe è testimone, suo malgrado, dei cambiamenti che attraversano la Francia e che inevitabilmente si riflettono con violenta rapidità nella sua nuova vita di compagna di un ufficiale in carriera. Osserva tutto con attenzione capace di sottili analisi, ma l’ingenuità dei suoi anni e l’inesperienza la limitano al punto che determinazione e desiderio di libertà sono confusi da una inquietudine che trasforma la sua leggera spensieratezza in costante vigile insonnia.

I suoi monologhi interiori aprono con puntini di sospensione le prime quattro sezioni del romanzo e ritornano più volte, chiudendo infine la quinta e ultima. Qui la sospensione si scioglie idealmente in “quell’infinità di gradini” (p. 326): tremante ma imperterrita la ragazza li fissa in una progressiva messa a fuoco del palco della ghigliottina dove verranno allestiti gli ultimi pensieri di Olympe e si spegneranno i riflettori sulla vita, ma non sull’anima, della doppiamente rivoluzionaria –come cittadina e come donna – protagonista.

Quei puntini sospesi riallacciano in un unicum l’intenso flusso di pensieri di Hyacinthe tra i polivalenti punti d’osservazione degli altri personaggi, come se si trattasse di un invisibile filo d’arianna. A Hyacinthe è affidata gran parte della custodia dei ricordi di Olympe ed essa ne diventa spesso la portavoce delle idee, soprattutto di quelle profuse nei suoi scritti.

Olympe e Hyacinthe: il loro è un legame fortissimo sebbene sembri non manifestarsi all’esterno. “In fin dei conti, cos’è lei, per me?” (p. 19): èla stessa Hyacinthe a chiederselo.

‘Suocera’, madre ideale, precettore, coscienza civica, modello, amica? Ognuna di queste definizioni, anche se basata su presupposti concreti, sarebbe riduttiva proprio in quanto tale. Olympe per Hyacinthe è “un soffio di vento” (p. 20), insieme la voce esplosiva del mondo emotivo, la forza del fascino cerebrale, la sua stessa essenza di donna che proprio all’ombra della maliosa caparbietà di questa figura ha modo di venir fuori. Attraverso l’ammirazione che sente per Olympe, Hyacinthe prende confidenza col suo essere donna e da donna inizia a reinterpretare il mondo che la circonda, a cominciare da quello che vive con forza dentro di sè.

A sua volta Hyacinthe è per Olympe la trasposizione di se stessa. E’ alla sua età che arriva a Parigi e comincia a lottare per i valori in cui crede. Olympe ricorda Hyakìnthos eroe mitologico, simbolo della fragilità delle giovani piante, che muoiono se colpite dai raggi di un sole troppo ardente, e Hyacinthe, che perde la capacità di abbandonarsi al sonno, sembra una delle Hyakìnthides, fanciulle offerte in sacrificio per la salvezza della patria. L’unico futuro concesso a Olympe è quello di tutte le donne che avranno finalmente iniziato ad amarsi e a immaginare così quella libertà che l’ostinata fiammella, accesa nella testa della giovane Hyacinthe, rappresenta.
Hyacinthe è cosciente di vivere una maturazione:

Interrogo l’estranea che vedo dentro lo specchio: piacerai a Pierre? Gli piacerà questa donna con ombre severe sotto gli occhi, tanto diversa dalla fanciulla di Tours, spaventata ma sorridente? (p. 215)

Il suo è un cambiamento voluto:

Leggendo la notte passa in fretta e la mia mente non vaga più sperduta ma si riempie di idee, di immagini, di fantasie che abbracciano la mia anima…(p. 215)

E più diventa consapevole più il sentimento verso Olympe si equilibra e gli imbarazzi iniziali e quelle timide sensazioni di inadeguatezza che la portavano a parlare “a precipizio” (p. 21) lasciano il posto a un più critico confronto. Di questa donna “amata da molti e odiata dai più” (p. 5), Hyacinthe forse è l’unica ad amarne la forza riconoscendone e rispettandone le umane fragilità.
Rimane gufo, ma non più soltanto notturno rapace ma farfalla che illumina l’oblio con l’oro leggiadro delle sue ali. E vorrebbe disperatamente che anche Olympe si accorgesse della sua trasformazione e ne fosse orgogliosa:

Mi vedi? Guardami! Ho camminato tanto per raggiungerti. Ho usato il tuo passo forte e mi sono fatta largo. Guardami! Non sono la compagna di tuo figlio. Sono il piccolo gufo insonne a cui hai insegnato a uscire senza paura per le strade di Parigi. Non sono la madre dei tuoi nipoti. Sono Marie Anne Hyacinthe Mabille e ti sono grata per aver permesso ai miei diciannove anni di discorrere con i tuoi quaranta come se avessimo la stessa età. Come posso ringraziarti? Guardami! Appoggiati, ti prego, appoggiati al mio sguardo (pp. 325-326).

Non occorre. Olympe lo sa già, lo ha sempre saputo. E a suo modo anche lei le è riconoscente. Per quella “svagata dolcezza” (p. 46) e per quell’amore incondizionato che ha ricevuto. E non a caso a lei affida idealmente il suo sogno…

…perché del sogno rimane lieve la sorpresa e nel mentre la vita si aggrappa ai brandelli della quotidianità nostra. Ed è della sorpresa che umanamente cerchiamo lo spessore e la superficie (Anonimo).

giugno 2005

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