Tra le tante tessere del mosaico costruito da Maria Rosa Cutrufelli nel suo ultimo romanzo, La donna che visse per un sogno, particolare rilevanza assume la voce della piccola Thérèse, la più giovane tra i personaggi che popolano l’universo narrativo della scrittrice.
Anche lei gioca una parte di indiscussa importanza all’interno del “canto polifonico” che si leva attorno a Olympe De Gouges, e ci fornisce sicuramente una prospettiva interessante attraverso la quale leggere la vicenda della protagonista e gli ultimi mesi della sua vita…
Thérèse non è che una bambina! Eppure la Cutrufelli ha scelto di utilizzare anche per lei, così come per le altri voci-donne, lo stesso linguaggio, senza notazioni linguistiche. Davanti al lettore appare per lo più una figura adulta, capace di riflessioni e di ragionamenti “da grande”, che ovviamente non ci si aspetterebbe da una bambina…
E tuttavia quello che meglio caratterizza questa figura sono dei meccanismi conoscitivi che proprio i bambini, in quanto tali, per atteggiamento spontaneo, sviluppano.. Alcuni suoi atteggiamenti e gesti, infatti, tradiscono un po’ questa maschera e lasciano intravedere le paure di una bambina di soli 7 anni.
“Sette anni” -esclama la protagonista del romanzo non appena incontra il suo visetto per la prima volta- “Sette anni. Un’età in cui è difficile difendersi. È troppo piccola Thérèse, troppo bambina per potersi slegare dalla sorte della madre Charlotte Narbonne”, finita in prigione al posto del marito da quando “quel vigliacco fanfarone era scappato in Inghilterra per evitare la giustizia repubblicana” (p. 165).
Thérèse dunque condivide con la madre l’esperienza della casa-prigione, e tuttavia a lei quel posto piace. Anzi freme all’idea di poter avere anche lei un posto a tavola, così come le era stato promesso come regalo per il suo ottavo compleanno.
Ancora il suo atteggiamento infantile si manifesta nel rapporto con Cécile, la serva che da più di dieci anni presta servizio alla cittadina Narbonne e nei cui confronti la bambina nutre una certa ostilità e ribrezzo, anche per via dell’insopportabile puzza che emana dal suo corpo: “No, Cécile no! Non voglio che mi tocchi. Mi fa schifo” (p. 180).
Ella inoltre assiste, nascosta, ai discorsi che Cécile fa al figlio delatore:
Certe cose un po’ le capisco e un po’ no, a volte mi pare di capirle e altre volte sento solo una gran rabbia (p. 256).
Ma, ad ogni modo, si tratta di delazioni che la serva fa nella speranza di poter aprire una breccia nella loro condizione cristallizzata da millenni. Del resto, anche dalle parole di Cécile si ricava l’immagine di “un diavolo scatenato che scappa di giorno e di notte per giocare con il figlio del custode, Jupin” (p. 252), che ha “l’aspetto di un angelo ma è più malvagio di un folletto…” (p. 190).
Olympe invece instaura con lei un rapporto del tutto particolare, quasi filiale, forse perché le richiama in mente l’immagine della piccola Julie strappatale dal destino.
E comunque Thérèse ama stare in compagnia della De Gouges:
È straordinaria, lei parla allo stesso modo ai grandi, ai bambini e alla servitù. Per questo mi son messa ad aiutarla, perché ero contenta di vederle gli occhi di nuovo allegri.. (pp. 204-205)
Tra le due si instaura un rapporto quasi di protezione: la bambina si assume la responsabilità di proteggerla, di aiutarla, di farla sorridere..:”Non voglio che diventi infelice come lo sono tutti in questo posto”.
La stessa Olympe mostra un’affezione nei confronti dei bambini attraverso la quale è possibile cogliere quella natura materna che, invece, sembrava alquanto ambigua nei rapporti con Pierre…
Man mano però che la situazione si fa sempre più difficile e di conseguenza anche l’umore di Olympe cambia, la casa-prigione inizia a non piacerle più e a diventare di una tristezza spaventosa… La paura di una separazione si insinua nell’animo della piccola Thérèse, la paura di perdere la Signora De Gouges:
Ce l’avevano con la Signora De Gouges e a me dispiace quando ce l’hanno con lei. Ho avuto tanta paura, non so se per la denuncia o per il timore di non vederla più. (pp. 256-257)
D’altro canto, nulla di tutto questo si manifesta nel rapporto con la madre, la quale proibisce alla figlia di infastidire Olympe; non vuole che giochi con Jupin, etc…
Particolarmente significativo risulta il confronto madre-figlia allorché Charlotte, disperata nell’attesa della lettera ufficiale che avrebbe dovuto sancire la loro liberazione e che invece tardava ad arrivare, dà libero sfogo all’affetto per la sua piccola: l’abbraccia e la stringe forte a sè, provando un senso di leggerezza simile a quello che aveva avvertito al momento della nascita… Ma Thérèse come reagisce? Si irrigidisce e non osa nemmeno muoversi per l’imbarazzo…
Non mi aveva mai parlato a quel modo, ma dalle sue lacrime ho capito che mi vuole bene davvero e che si era molto preoccupata per me, e allora, di colpo, mi sono preoccupata anch’io invece di partecipare alla sua felicità. (p. 207)
Eppure è lei che deve sobbarcarsi l’arduo compito di andare al tribunale per chiedere la famosa lettera di grazia… È a lei, nei suoi appena compiuti otto anni, che la madre chiede di superare una prova importante, forse troppo grande per una bambina, ma l’unica e sola via di salvezza!
giugno 2005