Lug 12

La bomba n. 53

Il 5 luglio 1911 in un ristorante sulla centotredicesima strada, all’angolo con la Third Avenue viene ucciso Lazzaro Buongiorno, apparentemente stimato proprietario di una ditta di pompe funebri, ma invischiato anche in traffici poco leciti. Non è un caso che il suo braccio destro, Rocco, nonché suo genero, abbia deciso di ucciderlo proprio in quel luogo, il ristorante di Vita. In fondo Lazzaro Bongiorno “era l’uomo che li aveva separati” (p.315).

Anche in questo capitolo (il settimo della terza parte), come del resto in tutto il romanzo, l’autrice gioca con il tempo: avevamo lasciato Rocco e Vita in un albergo di Saint Paul dopo che erano fuggiti insieme, e ora ritroviamo Vita, cuoca nel ristorante del padre, e Rocco, che tornato alla vita di prima dopo l’abbandono di lei, porta il suo capo a morire nel ristorante della donna per la quale avrebbe fatto qualsiasi cosa, se solo glielo avesse chiesto. Il ristorante, era “questo il luogo in cui Vita aveva preferito ritornare. Questa l’esistenza che si era scelta” (p.310) quando, delusa, scopre che Rocco è già sposato, quando capisce che stare con Rocco alla fine era soltanto finzione, e tra loro, dopo la fuga a Saint Paul, restavano solo “pochi istanti condivisi, e un vuoto sconfinato dentro” (p.297).

Quella sera Rocco è vestito con un completo color petrolio, porta la cravatta nera, e Bongiorno, che non sospetta minimamente perché quella sera siano andati proprio in quel ristorante, pensa che il suo braccio destro sia a lutto per la morte del suo gatto e non si accorge neanche che non è l’unico dei suoi uomini a portare la cravatta nera quella sera.

Buongiorno (visto qui attraverso gli occhi di Rocco) è un uomo che non riesce ad adeguarsi, non vede gli sbocchi che può offrire New York, ormai è solo “il relitto di un epoca tramontata” (p.313). Rocco, invece, è consapevole di essere il futuro, capisce le opportunità che potrebbero offrire il commercio del carbone e della benzina, il controllo del porto e la trasformazione edilizia della città. “Bisognava cambiare tutto” (p.314) quindi. Rocco “non voleva disonorare Buongiorno, al quale aveva sempre portato rispetto” (p.313) però, perciò decide di ucciderlo lui stesso, “l’aveva nutrito-e bene” (p.317), ma ormai era venuto il momento che pagasse il suo conto.
E’ Vita a scoprire il corpo, prima della chiusura del locale, uscita dalla cucina per sapere se la cena fosse stata gradita dai suoi clienti, capisce subito chi aveva portato Bongiorno da lei e perché.

La seconda parte del capitolo è costituita dall’interrogatorio che Vita subisce da un detective, in seguito all’omicidio avvenuto nel suo locale. Anche se desidera che riescano a incastrare Rocco e che paghi, più che altro per ciò che aveva fatto a lei, che per sincera sete di giustizia, Vita “dice esattamente il contrario di ciò che vorrebbe” (p. 321), forse perché inconsciamente capisce che Rocco non è la causa della sua infelicità e che non è colpa sua se lei ha tradito Diamante.

Quando il detective la interroga, quindi, Vita non fa niente per mettere nei guai il suo ex-amante, anzi quando il detective le dice che se solo Rocco avesse messo il suo fiuto per gli affari al servizio del bene, non sarebbe stato sospettato di aver commesso un crimine, Vita risponde “Al servizio di quale bene avrebbe dovuto mettersi? Si è messo al servizio del proprio. Per me è questo il reato” (p.323), e quando più tardi le chiedono se sappia cosa sia la Mano Nera, risponde che è solo una leggenda, forse perché, come ha imparato fin da piccola, è meglio non parlare con le guardie o forse più semplicemente perché è sempre meglio tacere che mettersi magari in qualche guaio.

Il detective, alla fine, capisce che non caverà niente da quella strana ragazza, che incespica nell’inglese e ostenta un dizionario molto limitato, ma che non perde mai il filo del discorso, e che questa sarà solo l’ennesima pratica irrisolta, l’ennesimo omicidio senza colpevole.
Nessuno viene inquisito per l’omicidio di Lazzaro Bongiorno, ma soprattutto nessuno collega questo omicidio con la bomba che esplode domenica 30 luglio 1911, la bomba n. 53 di quell’anno, come risulta rubricata dalla contabilità di quell’anno dell’ “Araldo”, un giornale italiano venduto a New York.

La bomba n. 53, che da il titolo a questo capitolo, era già stata anticipata al lettore nel capitolo “L’ostinato profumo del limone”, quando la Mazzucco scrive che anche se ne aveva passate tante, come quando “i ganghestèr ci avevano messo la bomba” (p.139) nel suo ristorante, Vita non si piangeva mai addosso e con coraggio ogni volta ricominciava da capo.

La bomba n. 53 del 1911 era infatti esplosa in pieno giorno davanti al ristorante “Da Agnello”: non c’erano state vittime, ma l’esplosione violentissima aveva distrutto completamente il locale, che non era stato più riaperto. Quella bomba, messa lì dai gangster, forse perché Vita si era ribellata e rifiutata di pagare la percentuale che tutti i locali di ritrovo erano costretti a pagare (chi lo sa, l’autrice non lo dice chiaramente, come del resto in tutto il romanzo non espone mai i fatti in modo lineare, ma molti li richiama attraverso deduzioni o allusioni), non piega Vita che è decisa a non mollare (come invece fa Diamante tornando in Italia).

Nella penultima parte del capitolo l’autrice, invece, fa sapere al lettore cosa succede successivamente a Rocco: riesce ad ottenere ciò che voleva, con i suoi loschi traffici diviene molto ricco, e vive a lungo, ha quasi cent’anni quando muore, ma all’altro mondo, in cui non credeva, non portò neanche le sue ossa, si fece cremare e del suo considerevole patrimonio, su cui i suoi discendenti speravano di mettere le mani, non rimase nulla. Di lui rimane solo il ricordo di Vita: Rocco così “grande, inquieto e irraggiungibile, che dice: Ho paura di invecchiare. Ho paura di diventare flaccido, vile e obbediente. Ho paura di finire accoltellato da uno come me” (p. 318).

Anche in questo capitolo convivono registri differenti: inserimenti dialettali, parole inglesi italianizzate e alcuni termini inglesi utilizzati, più che altro, quando l’autrice ci parla delle sue ricerche. Ed è proprio coinvolgendo il lettore nella sua difficile ricerca, nella ricostruzione di dati e fatti che la Mazzucco conclude il suo romanzo: non riesce a trovare di Rocco nemmeno una fotografia, solo un dossier di Amleto Atonito, una scheda contenente le sue impronte digitali e “le mani di quell’uomo che doveva essere un gigante sembrano stranamente piccole” (p. 327-328), sembrano solo le tracce di un gatto circospetto che attraversa il pavimento di una stanza.

Qui si conclude il capitolo La bomba n. 53, un capitolo che in un gioco di frasi sospese, indizi, deduzioni e allusioni ci riporta agli altri capitoli, confermando la tessitura non lineare del tempo che avvolge le vicende di tre generazioni in un unico ritmo narrativo.

Appare interessante, inoltre, l’impiego quasi feticistico del numero tre, un numero che si ripete continuamente non solo nel capitolo (3 il numero del tavolo a cui sono seduti Rocco e Buongiorno, 3 i colpi di pistola sparati), ma anche in tutto il romanzo (33 ad esempio il numero totale dei capitoli).

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