Lug 12

Presenza tolstojana in Vita di Melania Mazzucco

(di CLAUDIA CARMINA)

Nel riuscito amalgama tra resoconto della petite histoire dei singoli e ricostruzione attendibile di un’epoca – quella, convulsa, dei primi anni del Novecento, segnati in Italia dal dramma dell’emigrazione -, si situa la specificità dell’opzione narrativa di Melania Mazzucco, che nel romanzo Vita, pubblicato presso Rizzoli nel 2003, si misura col genere storico, ne saggia limiti e potenzialità, si propone di innovarne il paradigma attraverso una spregiudicata contaminazione di realismo e sperimentazione, ricognizione sociale e scrittura memoriale, tensione epica e gioco metaletterario.

Il recupero ed il contemporaneo rinnovamento dello statuto di una narrazione a largo respiro implica di forza un confronto con la grande tradizione ottocentesca, che costituisce comunque un modello ineludibile, un canone di riferimento obbligato con cui è necessario fare i conti, sia per riproporne e ricodificarne forme e statuto, sia eventualmente per trasgredirne e dissacrarne, sovvertendole, le norme compositive.

Melania Mazzucco, in Vita, dialoga allora con quella che costituisce di certo una fonte quanto mai significativa e cogente per una scrittura come la sua, che mira a farsi epopea, affresco storico, rappresentazione di un milieu, analisi di tempi e sentimenti, inchiesta civile e discorso estetico: inevitabile e finanche doveroso è cioè il confronto della Mazzucco con il capolavoro enciclopedico di Tolstoj, Guerra e pace.

Compito non facile, quello della scrittrice romana, costretta ad intraprendere un rapporto che, adottando un neologismo coniato da Lejeunne, si potrebbe definire “palincestuoso” con uno degli esemplari più riusciti della narrativa ottocentesca, tanto più che il romanzo tolstojano è un avantesto ingombrante che ancora, a tanti anni di distanza dalla sua stesura, mantiene intatta la sua insinuante carica attrattiva, rischiando di irretire e ingenerare una vera e propria “angoscia dell’influenza” in ogni scrittore che aspiri a farsene anche interlocutore.

Se si volesse fare un appunto alla coraggiosa strategia narrativa messa in atto in Vita, si potrebbe rimproverare alla Mazzucco una forse eccessiva discrezione, un fare finanche cerimonioso, un riguardo accattivante che le impedisce di dichiarare e affrontare apertis verbis il rapporto col modello, che, per essere esorcizzato, viene dissimulato ma mai eluso. Un modello romanzesco, quello di Guerra e pace, la cui lezione, nonché accolta, è alfine rilanciata dalla Mazzucco come tutt’oggi feconda, se è vero che i moduli tolstojani vengono adattati dalla scrittrice a scandire i luoghi più fortemente patetici di Vita attraverso un esercizio di forgerie, vale a dire, com’ebbe a scrivere in altro contesto Genette, di “imitazione in regime serio” (Palinsesti, Einaudi 1997, p. 92), la cui funzione principale va al di là del riferimento ammirativo, come della attitudine parodica, e finisce col condensarsi in “una sorta d’omaggio” (ivi, p. 108).

Conviene allora dirigere l’attenzione ad alcuni snodi focali della narrazione di Vita e passare in rassegna qualche riscontro e qualche significativa, benché sempre parziale, campionatura testuale che, per la sua pregnanza semantica, funga da accertamento esemplificativo di quanto finora sostenuto.

Il capitolo Ragazza italiana sparita ospita una sequenza narrativa privilegiata, in cui la vicenda d’amore che ha per protagonisti Diamante e Vita giunge ad un punto di scioglimento drammatico e di aristotelica catastrofe. Al contempo, il capitolo si configura quale massimo luogo d’interferenza intertestuale, in cui precipitano e attorno al quale si addensano, mutando referente, stratificandosi e aumentando di voltaggio, di intensità e frequenza, i prestiti, le citazioni e le reminiscenze da Tolstoj.

Che il lacerto narrativo in questione si palesi altresì un reticolo intertestuale, un coacervo di contaminazioni ed enchassement, non stupisce qualora si tenga conto dello sviluppo assunto dall’intreccio di Vita che, nella raffigurazione della vicenda del tradimento di Diamante compiuto da Vita a beneficio di Rocco, si rivela speculare, sia per scelte tematiche sia nella caratterizzazione dei tipi psicologici impersonati dai personaggi, allo svolgimento di uno degli episodi più drammatici di Guerra e pace, laddove Tolstoj mette in scena lo scandalo causato dall’infatuazione di Nataša per Anatolij e la conseguente rottura del fidanzamento con Andrej.

In entrambi i romanzi, poi, l’evolversi della fabula non fa che complicare una situazione già altamente emotiva, e, mentre Andrej e, analogamente a lui, Diamante, una volta venuti a conoscenza dell’affronto subito, si ritirano in un isolamento altezzoso, il pentimento della protagonista femminile muove la pietà di un ultimo, ma fondamentale personaggio, che, fino a questo momento, però era rimasto estraneo alla vicenda. La Mazzucco, nel capitolo Ragazza italiana sparita, dà allora spazio alla descrizione dell’atteggiamento, dapprima severo, poi commiserante assunto dal cugino di Diamante, Geremia, che nel seguito della narrazione arriverà persino a sposare Vita; come, similmente, in Guerra e pace, a fare da confidente allo sfogo di un’affranta Nataša era stato il suo futuro marito, nonché il più caro amico di Andrej, Pierre Bezuchov.

Nel passaggio dall’uno all’altro romanzo, la partitura della trama resta pressoché inalterata, se si escludono alcune opportune variazioni apportate dalla scrittrice contemporanea che, nel riproporre il materiale narrativo tolstoiano, lo traspone in una riscrittura accortamente infedele, che ne muta atmosfera e registri, sottoponendolo ad un processo di traslazione diegetica di spazi ed ambienti: il dramma privato della vitale contessina Rostova, del principe Bolkonski e del conte Bezuchov è infatti trasportato dalla Mazzucco in una New York affollata dagli emigrati italiani, che diventano così gli umili protagonisti di un racconto nato tra le nevi e gli sfavillanti salotti della Russia zarista.

La modernizzazione implica anche una serie di modifiche di poco conto, connesse alla scelta perseguita dalla scrittrice di procedere ad un sorta di abbassamento parodico nell’ambientazione della fabula: in un contesto popolare, ad esempio, la fuga, che i due amanti di Guerra e pace progettano ma non realizzano, deve necessariamente avvenire per provocare appieno uno scandalo e così Vita e Rocco scappano insieme e alloggiano per qualche tempo in un albergo fuori città. Si tratta, come accennavo, di una variante poco significativa che non intacca la sostanza pragmatica della vicenda: sia in Vita sia in Guerra e pace, difatti, lo sposalizio dei due amanti non potrà celebrarsi perché, in entrambi i casi, verrà tardivamente accertato un precedente matrimonio contratto tempo addietro dal seduttore.

Per procedere infine ad una più dettagliata disamina analitica del capitolo Ragazza italiana sparita conviene portare qualche esemplificazione, prelevata dai due romanzi in esame, atta a confermare l’ipotizzata relazione di convergenza e di sovrapponibilità che collega, in un rapporto di filiazione e permutazione, la prova narrativa della Mazzucco al capolavoro di Tolstoj.

Torna utile allo scopo giustapporre dei frammenti narrativi rispettivamente tratti, per ciò che concerne Vita, dalla scena del dialogo tra Diamante, di ritorno a New York, e Geremia e dal successivo incontro di quest’ultimo con Vita, e, per quanto riguarda Guerra e pace, dagli episodi dei colloqui tra Pierre e Andrej, appena rientrato in Russia, e tra Pierre e Nataša (le citazioni da Tolstoj sono riprese dal secondo volume dell’edizione di Guerra e pace tradotta da Pietro Zveteremich e pubblicata presso Garzanti nel 1989, con una presentazione di Fausto Malcovati; il corsivo è mio):

Vita, p. 301: [Diamante e Geremia] si trovarono molto cambiati. […] Diamante col cranio rasato come un galeotto. Sulla fronte, in mezzo ai sopraccigli, una ruga che prima non aveva.
Guerra e pace, p. 896: Il principe Andrej […] era molto cambiato, palesemente rimesso in salute, ma con una ruga in mezzo ai sopraccigli che prima non aveva.

Vita, pp. 301-302: Che la ragazza di Diamante, che Vita così adorabile e così appassionatamente adorata, potesse lasciarlo per quel delinquente di Rocco il quale fra l’altro non poteva sposarla perché aveva già sposato la figlia di Buongiorno – e innamorarsene al punto di fuggire con lui, era una cosa che non riusciva nemmeno a concepire. L’immagine di Vita, che conosceva fin da piccola, non poteva associarsi alla notizia di questa stupida, futile crudeltà. E tuttavia questa storia penosa suscitava, in lui […], un sentimento di tale compassione da indurlo a provare pietà per l’orgoglio esagerato di Diamante […]. E tanto più compativa il cugino, con tanto maggiore disprezzo e perfino repulsione pensava a Vita, che pure, nel buio delle miniere, gli era talvolta passata davanti come una visione calda e luminosa di infantile innocenza.
Guerra e pace, p. 888: Che la fidanzata del principe Andrej, così appassionatamente amata, che Nataša Rostova fino a quel momento così adorabile potesse lasciare Bolkonskij per quell’imbecille di Anatol, il quale per giunta era già sposato […] e innamorarsene al punto di fuggire con lui, era una cosa che Pierre non riusciva a comprendere e nemmeno a concepire. La cara immagine di Nataša, che egli conosceva fin dall’infanzia, non poteva associarsi nel suo animo a questa nuova immagine della sua bassezza, della sua stupida crudeltà. […] E tuttavia provava un sentimento di tale compassione, da indurlo a piangere per il principe Andrej, a provare pietà per il suo orgoglio. E quanto più compassionava il proprio amico, con tanto maggiore disprezzo e perfino repulsione pensava a quella Nataša che era passata poco prima davanti a lui nel salone con quell’espressione di fredda dignità.

Vita, pp. 304-305: Possibile che era proprio tutto finito? […] Geremia intuiva nel cugino il bisogno, che lui stesso conosceva troppo bene, di appassionarsi a discutere su una questione che gli era alla fine estranea soltanto per azzittire pensieri intimi troppo insopportabili. […] E Vita? Mormorò Geremia. […] Se la vedi, ammicca Diamante, dille che era e resta libera e io le auguro di essere felice. […] Quando io mi lagnai che dovevamo andarcene da Prince Street perché Lena non era una donna seria, tu la difendevi, dicesti che bisogna perdonare una donna che sbaglia. Ma non ho detto che potevo perdonarla io, commentò Diamante, appoggiando la fronte contro il boccale.
Guerra e pace, pp. 897-898: “Ma possibile che tutto sia proprio finito?” disse Pierre. […] Ora Pierre ritrovava nel suo amico il bisogno, che lui stesso conosceva fin troppo bene, di agitarsi e di discutere per una questione che gli era estranea soltanto per soffocare dei pensieri intimi troppo penosi. […] “Riferisci alla contessina Rostova che era e resta libera e che io le auguro ogni bene.” […] “Ascoltatemi: vi ricordate della nostra discussione a Pietroburgo?”, disse Pierre, “vi ricordate di…” “Mi ricordo,” rispose in fretta il principe Andrej “avevo detto che si deve perdonare una donna che sbaglia, ma non avevo detto di poterla perdonare io. Io non posso.”

Vita, pp. 305-306: Dovrei chiedere ad Agnello la mano di Vita, essere comprensivo o qualcosa del genere? Si mise a gridare con acrimonia, sì, è molto nobile, ma io non sono capace di brucare nel piatto di Rocco. […] Se vuoi restarmi amico non parlarmene mai più. […] Era dimagrita, pallida, ma per nulla vergognosa umiliata o imbarazzata come lui si aspettava che fosse. […] Vita aggiunse, senza guardarlo: è tuo cugino, a te ti ascolta, digli che mi perdoni.
Guerra e pace, pp. 899-900: “Dovrei chiedere di nuovo la sua mano, essere magnanimo o qualcosa del genere?…” si mise a gridare con asprezza. “Sì, è molto nobile, ma io non sono capace di andare sur le brises de Monsieur. Se vuoi essermi amico, non parlarmene mai più…”. […] Nataša era in piedi in mezzo al salotto, dimagrita, col viso pallido, severo, e niente affatto vergognosa, come Pierre si aspettava di vedere. […] “Petr Kirilyc”, cominciò a dire in modo rapido, “il principe Bolkonskij era vostro amico; è vostro amico. […] Ora è qui… ditegli… che mi per… che mi perdoni”.

Vita, pp. 307-308: Lo so che fra noi è finita, lo smentì lei, a voce bassa […]. Mi dispiace il male che gli ho fatto. Digli di perdonarmi. Per tutto. […] Se hai bisogno di qualcosa, di un consiglio… ricordati di me. […]
Se io non fossi quello che sono – farfugliò Geremia alzandosi e congedandosi in fretta, senza neanche stringerle la mano, gli occhi inchiodati alla punta sformata delle sue scarpe – ma il ragazzo più attraente, il più forte, intelligente, di questa città, e se avessi abbastanza soldi da potermi permettere una famiglia, in questo stesso istante chiederei in ginocchio la tua mano e il tuo amore, Vita.
Guerra e pace, pp. 900-901: “Lo so che è tutto finito,” disse in fretta. “No, questo non potrà mai accadere. Mi tormenta soltanto il male che gli ho fatto. Ditegli una cosa sola: che io lo prego di perdonarmi, di perdonarmi di tutto…” […] “Ma vi prego di una cosa: consideratemi vostro amico, e, se avete bisogno di un aiuto, di un consiglio, […] ricordatevi di me.” […]
“Se io non fossi quello che sono, ma l’uomo più bello, più intelligente, l’uomo migliore di questo mondo, e se fossi libero, in questo stesso istante chiederei in ginocchio la vostra mano e il vostro amore.”

Già una veloce verifica, condotta sul pur ridotto ventaglio comparativo dei passi e dei blocchi testuali sopra riprodotti, permette di certificare la massiccia ripresa di innesti lessicali, sintattici e semantici di immediata reperibilità che suffragano la sussistenza di una relazione di equipollenza e di sostanziale omogeneità tra i brani citati. Alla luce di quanto argomentato ed esperito, si può dunque concludere che la pratica di riscrittura e di travestimento attuata dalla Mazzucco, pur interferendo con le ragioni del rovesciamento parodico, non esita tout court in parodia o in pastiche e piuttosto risulta ascrivibile alla categoria critica elaborata da Gerard Genette, nella sua tassonomia nomenclatoria, e da questi definita appunto “forgerie”.

Come si è avuto modo di spiegare in precedenza, dal critico francese il termine forgerie è volto a significare lo “stato mimetico più semplice, o più puro, più neutro”, il cui statuto è inconciliabile con l’habitus costitutivo di altri procedimenti intertestuali, quali la caricatura, l’antiromanzo, il pastiche, la parodia o la trasposizione, giacché, per sua natura, la forgerie è dispensata dal notificare e dall’osservare il cosiddetto “contratto di pastiche (Genette, Palinsesti, cit., p. 93).

Difatti, la strategia compositiva della Mazzucco disattende “le condizione essenziali della riconoscibilità mimetica” (Palinsesti, cit., p. 95), perché il testo imitativo non viene ipso facto identificato come tale dal lettore, il quale non è stato preventivamente avvisato della messa in opera della pratica citazionista da alcuna esplicita dichiarazione autoriale. Né, tanto meno, la contaminazione intertestuale attende in Vita ad un effetto di stilizzazione parodica, come avviene per lo più nei pastiches a la manière de, che invece ambiscono a produrre una saturazione del tessuto stilistico, a mezzo dell’innesto esagerato, eccessivo e proliferante di tratti stilistici o marche testuali peculiari della prosa dell’autore imitato.

La struttura di Vita è invece assimilabile ad una sorta di matrioska narrativa o di scatola cinese in cui si combinano insieme diversi livelli testuali, in un sapiente gioco di stratificazione e bricolage operato sui materiali rilevati dalla tradizione letteraria. La disinvoltura con cui l’autrice applica la sua strategia di decostruzione, maquillage e ricomposizione del modello, depistando e insieme adescando il lettore, fa di Vita una significativa prova di ri-scrittura romanzesca, che, pur nella spregiudicatezza degli attraversamenti e delle manipolazioni, mantiene comunque intatta la propria efficacia affabulativa.

aprile 2004

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