Giu 14

La Resistenza nella storia e nella quotidianità in “Cose da pazzi” di Evelina Santangelo

La resistenza nella storia e nella quotidianità: quando si osserva la realtà con gli occhi di due bambini, Pin e Rafael.

La lettura di Cose da pazzi richiama alla memoria echi del romanzo di esordio di Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, testo cui si riferisce anche l’articolo del critico Massimo Onofri, su «Avvenire», del maggio 2012. E’ un confronto puntuale, pur individuando le dovute differenze.
L’opera calviniana, pubblicata da Einaudi nel 1947, rappresenta uno dei capolavori del Neorealismo italiano che, come scrisse lo stesso autore, “non fu una scuola, ma un insieme di voci, in gran parte periferiche”. Una delle leggi fondamentali di questa corrente letteraria prevede che lo scrittore si cali completamente nella realtà quotidiana, che cammini per le strade di una città, e di quella racconti le vicende più semplici e intime. Questo è lo scopo che si prefigge l’autore de Il sentiero dei nidi di ragno, allorché si appresta a trattare un tema scottante, quale la Resistenza in Italia, adottando come punto di vista quello di un bambino, Pin, che, con i suoi “occhi come punte di spillo”, osserva un mondo sconvolto dal furore e dalla guerra. Il protagonista proviene da Carruggio Lungo, città ligure della Riviera di Ponente: è un ragazzo scanzonato, con un atteggiamento borioso e un linguaggio volgare, che prova il disagio di non stare bene né con i grandi né con i bambini. Cresce tra i vicoli impregnati di odore di fumo e di urina, con gli uomini dell’osteria, popolari e dai modi sgraziati, i cui nomi sono camuffati da epiteti e soprannomi. Ben presto Pin viene arrestato per aver rubato una pistola e, evaso, si inserisce tra i partigiani di un accampamento: qui, tra i boschi, il precedente mondo dell’osteria si dilata, e Pin vive in prima persona l’esperienza della guerra. Egli però è triste e solo: la pistola, gelosamente custodita nei nidi dei ragni, è l’unica cosa che gli rimane al mondo.

Nel  romanzo Cose da pazzi  l’autrice Evelina Santangelo realizza un quadro della Palermo di oggi, una città dinamica dove, accanto alle vecchie botteghe e ai tradizionali mercati, si insinua la modernità con i suoi lounge bar e con quegli oggetti tecnologici che diventano motivo di competizione tra i ragazzi. Tra i vicoli del quartiere popolare Spina si aggira Rafael, un adolescente figlio di una colombiana e di un operaio che soffre il disagio della disoccupazione. Il suo punto di vista accoglie quello degli altri, di tutti coloro che, bambini, adulti e animali, frequentano i suoi stessi luoghi (la scuola, la piazza, il vicolo Grande), in un brulicare di facce e di voci che Rafael osserva con i suoi “occhi spiritati”. Il giovane protagonista assorbe ogni parola, ogni avvenimento del suo quartiere, interagendo con i coetanei, alla ricerca di modelli ed eroi da imitare, come il calciatore Miccoli o il cantante Tony Colombo, tra giochi di strada e discorsi da grandi. Ma il suo processo conoscitivo si sviluppa anche attraverso il rapporto con gli adulti, con i genitori, con Vito il barbiere, con “Scimunito col bollo”, con Fiorella, e con tanti altri, di cui Rafael vorrebbe scoprire ogni meccanismo mentale. E’ un ragazzo scanzonato e assetato di curiosità, esattamente come Pin. Entrambi sono dei ragazzini animati da una spasmodica voglia di entrare nel mondo dei grandi e di scoprirne i meccanismi, perché il non sapere spaventa, dunque “più si sa, e meno peggio si sta”, asserisce più volte Rafael. Così a suscitare  timore sono la mancata comprensione del “recupero crediti”, e l’atteggiamento misterioso di Cetti e Salvo e degli altri commercianti, con quel loro parlare a bassa voce e quegli sguardi allusivi a chissà chi.

Attorno all’osteria che frequenta Pin, Calvino colloca dei personaggi che rappresentano gli Italiani  tramortiti dalla Resistenza, con i loro atteggiamenti eversivi e quei discorsi colmi di politica, per spiegare i quali il giovane protagonista ricorre a metafore e visioni. Analogamente attorno al “locale-trattoria-Cetti-e-Salvo-cucina-fatta-a-casa”, al centro del quartiere Spina, la Santangelo presenta uomini, donne e “uomine” che sono lo specchio della Palermo odierna, dove tra i discorsi sulla moda e sulla politica serpeggia la realtà mafiosa, costante e invincibile, anche di fronte alle lezioni di legalità tenute dalla professoressa Rita. L’atteggiamento baldanzoso e il linguaggio scurrile dei giovani di questi due romanzi li avvicina al mondo dei grandi; il pensare attraverso metafore e visioni trasfiguranti li àncora al mondo infantile: due aspetti del difficile periodo dell’adolescenza. Pin e Rafael crescono in fretta, il primo perché non ha una famiglia che lo guidi, non ha amici con cui confrontarsi e i suoi modelli, gli adulti che emula, lo conducono su vie pericolose e piene di ostacoli. L’altro, invece, è seguito da due genitori che, nonostante i numerosi disagi, rappresentano per il ragazzo “una tana”, nella quale è bello rifugiarsi. Inoltre il motore che avvia l’intero romanzo è l’amicizia tra Rafael e Richi, la morte del quale rappresenta una tappa fondamentale per la crescita del protagonista. Anche Pin conosce la morte, ma attraverso una prospettiva straniante, che non lo coinvolge personalmente. La morte di Richi invece, fa conoscere al suo migliore amico il dolore, e l’interiorizzazione del lutto è un percorso duro.

Dunque Pin e Rafael, seppur lontani cronologicamente e spazialmente, rappresentano gli occhi di due scrittori, Calvino e Santangelo, che scrutano una realtà difficile, traumatizzata l’una dall’instabilità del secondo dopoguerra, l’altra dallo scontro fra tradizione e modernità, osteggiata dalla minaccia mafiosa. La parola d’ordine di entrambi i romanzi è resistere, per Calvino in relazione al periodo storico, per la Santangelo, invece, in riferimento ai disagi del nostro tempo, specie se c’è di mezzo un adolescente che vive in una realtà sociale complessa. In fondo “se uno vuole vivere, il destino deve fargli strada” (Cose da pazzi, p.278). 

Giugno 2013

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