Giu 17

Gli animali in “Cose da pazzi”

L’ultimo romanzo di Evelina Santangelo, prima ancora di introdurci alla sua storia sapientemente radicata nella realtà, ammonisce il lettore: “Personaggi ed eventi narrati sono di pura fantasia. I nomi dei cani però sono veri.”. Nomi che vengono presentati sin dalla prima pagina. Il romanzo, infatti, si apre con un ritratto dei cani che popolano le strade del quartiere Spina e che, nell’incipit, vengono “utilizzati” da Evelina Santangelo per dare uno scorcio dei vicoli dove si svolgerà l’intera vicenda.

Ciccia, Bumma e Fifa, questi i nomi dei cani, costituiscono un terzetto fisso, quasi un unico personaggio benevolo che accompagna i protagonisti del romanzo. Scortano la madre di Rafael a lavoro e Bumma, per esempio, offre a Richi, malato e, per questo, letteralmente bloccato sulla sedia fornitagli da Vito il barbiere, la propria compagnia e il proprio muto appoggio, facendogli persino da controcanto nelle ultime battute dello sfogo più cupo e amaramente rassegnato del ragazzo (pp. 116-117).

Ma i cani di piazza Spina sono ben più che semplici presenze positive e rassicuranti: rappresentano una libertà di movimento che Rafael, protagonista attraverso i cui occhi viene misurata tutta la realtà del romanzo, si rende conto di non possedere. A p.126, infatti, Rafael li scorge attraversare l’incrocio dell’elegante viale del Centro e li osserva andare ad accucciarsi sul marciapiede, mescolati alla gente, “come se non fossero i cani di piazza Spina. […] Passeggiano sui marciapiedi […] come signori […]. A differenza dei gatti, che invece non si muovono mai.”. Immediata è l’immedesimazione del ragazzo proprio con quei gatti immobili, quasi timorosi, che hanno rinunziato alla libertà di movimento, quella libertà cui Rafael tenderà senza successo.

Il protagonismo degli animali, però, non si limita al solo terzetto di cani, ma si manifesta soprattutto in quel continuo confronto che i personaggi istituiscono con essi, tanto a livello consapevole e manifesto, quanto a un livello più sommerso, quasi inconscio. Infatti, se per un verso i numerosi personaggi interagiscono costantemente con animali quali i tre cani, o con Nino, il cagnolino di Cetti, la tenutaria della trattoria, oppure ancora con i gatti della prostituta transessuale Fiorella, dall’altro lato, gli abitanti di piazza Spina, e Rafael soprattutto, misurano la loro realtà istituendo costanti parallelismi con il mondo animale.

Per far ciò, Evelina Santangelo sfrutta sapientemente il potenziale di tutte le figure di paragone, dalle manifeste similitudini, alle sottili metafore mimetizzate nell’accorta tessitura di tutta l’opera.

A proposito di queste ultime, già a pag. 6 vi è il riferimento ad una carrozza per turisti a cui è aggiogato un cavallo sul quale sono evidenti i segni della fatica e della sofferenza causate dalla sua condizione. In quest’occasione, mentre appella ingiuriosamente la bestia, viene presentato un Rafael insensibile al dolore dell’animale; poche pagine dopo, in uno dei suoi frequenti sfoghi, Estella Rodriguez, madre di Rafael, si paragona significativamente proprio a un cavallo.

Attraverso questi continui rimandi si manifesta la raffinata perizia dell’Autrice. In particolare, prevale un utilizzo accurato di due costruzioni metaforiche inerenti il mondo animale, che da altre costruzioni legate a singoli contesti, si dipanano lungo tutto lo svolgersi della vicenda. Si tratta dei raffronti continui che Rafael, portavoce del punto vista privilegiato dell’intera narrazione, istituisce con il canarino, curato da Lilla la Stronza e Scimunito col Bollo, e con gatti, gabbiani e piccioni impegnati continuamente in un’estenuante lotta per la sopravvivenza.

Nel primo caso, la scrittrice scrive di un Rafael quasi inconsapevole di porre continuamente il confronto tra la condizione del canarino moribondo e quella del proprio amico malato Richi. Un parallelismo che si sviluppa per gradi, in episodi successivi in cui la similarità tra le condizioni dell’animale e del ragazzino si fa sempre più palese e manifesta, culminando nel già ricordato sfogo amaro di Richi (p.126) e nel tema di capodanno in cui Rafael, morto l’amico da pochi giorni, parla solo ed esclusivamente delle vicende del canarino agonizzante; momento, quest’ultimo, dove il confine tra consapevolezza e non, viene accuratamente lasciato ambiguo dalla scrittura dell’Autrice.

Per quanto riguarda, invece, la lotta tra un gatto e un grosso gabbiano, intenti a contendersi la carcassa ancora viva di un piccione, essa viene introdotta dalla Santangelo proprio immediatamente dopo la lezione sulla legalità cui Rafael ha assistito a scuola. Il ragazzo riesce a spiegare e a spiegarsi il fenomeno del “recupero crediti”, dell’estorsione, di cui si è parlato a scuola, proprio attraverso quell’immagine, che ritornerà in più luoghi della narrazione, estendendo il proprio significato metaforico alla società tutta: una lotta in cui i più forti contendono tra loro per sbranare i deboli.

Così, le due metafore, le più elaborate e funzionali alla narrazione del romanzo, si sviluppano in un confronto continuo col mondo animale e si intessono intorno ai nodi tematici principali dell’opera della Santangelo: da un lato, quello privato e personale che riguarda la formazione di Rafael, duramente segnata dalla perdita dell’amico, dall’altro, quello riguardante gli scottanti temi sociali in mezzo ai quali la crescita del ragazzo deve districarsi.

Giugno 2013

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