Nel romanzo Cose da pazzi di Evelina Santangelo è molto ricorrente l’uso dei colori e della luce, elementi che concorrono fortemente all’efficacia della rappresentazione. Sin dalle prime pagine del libro i colori connotano, ad esempio, la caratterizzazione di alcuni personaggi: Cetti è una ristoratrice dai capelli arancioni, “che sembrano ancora più finti” per via della loro ricrescita marrone (p. 6); Estella è un’immigrata dai capelli “neri, forti e lucidi” (p. 9); la madre di Lilla “la stronza” è descritta come una “grossa larva bianca” immersa in un “belare di lamenti” al fondo di una stanza semibuia (p. 12). Più avanti, in una delle parti maggiormente “liriche” e descrittive del romanzo, il protagonista Rafael, percependo l’aria “che si sente in primavera, […] o in autunno”, ricorre ancora una volta a una serie di colori (pp. 71-72):
“Non l’autunno come glielo hanno fatto studiare alla scuola elementare, con le foglie gialle da attaccare sul quaderno, le castagne, e quelle poesie piene di nebbie e pioggerelle e cieli che, per illustrarli, come diceva la maestra Gianna, bisognava temperare il colore grigio. Le poesie sull’autunno che adesso gli ricordano tanto il banco di formica verde nella stanza di Richi sotto quello spicchio di cielo blu, in alto sulla parte sinistra della finestra, il blu che c’è a volte quando non è più giorno ma non è ancora sera”.
Un impiego molto suggestivo del colore e della luce caratterizza un passo del sedicesimo capitolo che prelude a uno dei momenti più belli del libro (p. 155):
“Prima muoio io, ma’… – fa Richi, scherzando al solito suo, sedendosi e poggiando le mani sulle ruote, con le unghie orlate di viola che risultano appena qualche punto più chiare del nero delle gomme, quando dal portone aperto filtra la luce dei lampioni che, proprio lì, davanti all’ingresso della palazzina dove abita Richi, è di un bianco latteo, come se qualcuno avesse deciso quale lampadina mettere, diversa da tutte le altre del vicolo che sono di un giallo uniforme”.
In questo passo si può notare la netta contrapposizione tra i colori usati per descrivere la malattia di Richi, il viola delle unghie del ragazzo, il nero della sedia a rotelle su cui egli è costretto a sedere, e il colore della luce riflessa dai lampioni, che ha un’intensa carica metaforica. La luce bianca che illumina l’ingresso della palazzina, “diversa da tutte le altre del vicolo che sono di un giallo uniforme”, allude infatti sia alla sensibilità particolare dei due ragazzi che, cresciuti in un ambiente che poco spazio lascia alla purezza, nutrono comunque l’uno nei confronti dell’altro un sincero sentimento di amicizia, che, in modo quasi profetico, al diverso destino che si profila per Richi.
Un altro esempio si trova nel capitolo secondo (p. 22), in cui appare per la prima volta la professoressa Rita:
“Persino la faccia, adesso che si è alzata e li ha salutati, sembra un’altra, come se qualcuno all’improvviso avesse acceso un faro e l’avesse puntato dritto sulla cattedra sino a illuminare ogni cosa, ma da dentro”.
Qui l’autrice ricorre a una metafora per descrivere la bellissima sensazione che il saluto della professoressa suscita in Rafael. In effetti, durante lo svolgersi del romanzo il lettore avrà modo di comprendere quale sia il ruolo affidato al personaggio di Rita, che costituisce per il ragazzo un punto di riferimento positivo, un’alternativa “illuminante” alla mentalità spesso gretta e opaca che lo circonda.
Ancora nel sedicesimo capitolo, quando Richi e Rafael abbandonano per un attimo l’ambiente asfissiante del quartiere Spina per una corsa all’impazzata verso il mare, quello che si ritrovano davanti è uno spettacolo veramente luminoso (p. 158):
“Luci fuse. Bianchissimissime. […] Bianche così e così fitte non si sono mai viste. Un tappeto volante di luci fuse”.
Richi e Rafael, due ragazzini apparentemente molto diversi l’uno dall’altro (Rafael è introverso e timido, Richi è decisamente più disinibito), in fondo sono accomunati dallo stesso desiderio di evasione, che quella sera per una volta riescono a realizzare:
“Né qualcuno li rimprovera o gli urla dietro improperi, quando si fanno a tutta velocità il viale in discesa che porta al mare, dove in fondo, proprio in fondo, s’intravede il profilo di una nave che sembra un palazzo, pure quello bianco e punteggiato di luci”.
Il bianco assurge in questo passo a colore dell’immaginazione (la nave sembra un palazzo) e insieme della speranza, che s’intravede, ma “in fondo, proprio in fondo”, sull’irraggiungibile mare. La risalita verso piazza Spina ha tutt’altra ambientazione; quelle luci che Rafael e Richi avevano contemplato come un “tappeto volante”, che li avevano spinti a fantasticare, sono le stesse che adesso li riportano alla dura realtà:
“Curvi, in salita, sotto quel mantello di luci che adesso sembra pesare sulle teste, continuano a farsi il viale in senso inverso fino all’imbocco di piazza Spina”.
Nel capitolo successivo si colloca la morte di Richi; Rafael si ritrova ad affrontare un dolore molto grande, e la sua maturazione lo rende sempre più solo e ostile al mondo che lo circonda. Del resto, anche tutte le altre vicende stanno per prendere la definitiva piega negativa: il padre perde il lavoro in fabbrica, i Setola si impadroniscono sempre più del quartiere Spina, la madre abbandona il suo ruolo di “paladina della giustizia” diventando amica di Cetti e Salvo. Eppure quell’immagine di libertà ritorna, nonostante l’infelice epilogo, in uno degli ultimi capitoli del romanzo, e ancora una volta assume le sembianze di una nave bianca (p. 302).
«Le cose belle che abbiamo». Questo aveva pensato. Soprattutto quando si era materializzata all’orizzonte la prua di una nave talmente bianca e inconsistente che Rafael all’inizio l’aveva scambiata per un miraggio… Dio era una femmina e aveva l’aspetto di una Nave Bianca. Anzi, proprio di quella nave lì in quell’arco di mare, al mattino, sulla strada di ritorno dal posto più sfigato sulla faccia della terra.
Infine, sembra tutt’altro che casuale la scelta del nome di Bianca, la bella nipote di Fiorella da cui Rafael viene profondamente colpito, come da un altro spiraglio di luce. Così infatti il ragazzo ne parla, dopo avere scoperto il suo nome (p. 294):
“Come si chiamava, […] l’aveva sentito sempre dalla signora Franca. E anche il nome gli sembrava una cosa delicata, mentre la sera, a letto, se lo ripeteva per paura di dimenticarselo. Così delicata che per tutta la notte, Rafael, non aveva nemmeno osato toccarsi”.
Alla luce di queste riflessioni, pare sia possibile per il lettore immaginare un futuro risvolto positivo per la vita di Rafael, possibilità certamente avvalorata dalla chiusa del libro, con il suo finale riferimento alla ragazzina di nome Bianca:
“…se quel carabiniere dovesse tornare a chiederglielo, […] Rafael prenderà a elencargli i suoi nomi, uno dopo l’altro. Rafael-Rodriguez-Richi-Lomunno-Russo, giù giù sino a Fiorella o Mauro o Fiamma o Stella, giù giù sino a Bianca. Che ancora non sa il suo nome”.
Giugno 2013