Apr 19

Diario degli scrittori (Palermo, marzo-aprile 2020)

ROBERTO ALAJMO. Diario della quarantena.

Palermo, 23 marzo- 1 aprile 2020.

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23 marzoDAI, SE CONFESSATE NON VI FACCIAMO NIENTE

L’Italia non si ferma / Fermiamo tutto.
Non fare incetta di generi alimentari / Fate la spesa per tutta la settimana.
Evitate assembramenti davanti ai supermercati / Riduciamo gli orari d’apertura dei supermercati.
Le mascherine non servono / Mandateci le fottute mascherine.
Ma solo le mascherine con la valvola / Quelle con la valvola diffondono il virus.
L’attività fisica innalza le difese immunitarie / Stop alle corsette.
Il picco arriverà la settimana prossima / Il picco arriverà la prossima settimana.
Ma se io prometto di credere e obbedire a tutte le prescrizioni, voi in cambio ammettete di dare ordini alla come viene viene / cazzo di cane?

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25 marzoDILETTANTI ALLO SBARAGLIO

È una guerra? Sì, no, forse.
Di sicuro però dopo ci sarà un dopoguerra.
Appurato questo, si apre il concorso delle idee.
Ma le idee camminano sulle gambe degli uomini, e qui effettivamente viene un po’ di sconforto, vedendo lo spettacolo di questi giorni in cui il primo che si alza ogni mattina si sente autorizzato a comandare.
Sindaci esibizionisti contro governatori egotici contro un governo che diffonde panico omeopatico, contro un’opposizione la cui unica urgenza è andare a votare a maggio (!).
La predicata compattezza nazionale viene smentita ogni minuto dagli stessi predicatori.
Stiamo pagando caro lo smantellamento della sanità, ma siamo destinati a pagare anche più cara la selezione al ribasso della classe dirigente, che in Italia non è mai stata tanto vanesia e dilettantistica.
Nell’ultimo dopoguerra c’è stato un piano Marshall gestito da De Gasperi al governo e Togliatti all’opposizione. Oggi non solo non si vede nessun Marshall, inteso come altruismo internazionale.
Ma soprattutto a gestire il dopoguerra saranno (qui il lettore può liberamene inserire un paio di nomi a sua discrezione).

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27 marzoLA NOSTALGIA DEL FUTURO

Ti guardi indietro e certo: nostalgia.
Nostalgia delle cose che hai avuto, delle persone che hai conosciuto. Delle persone che hai amato. Dei viaggi che hai fatto. Dei figli che hanno preso la loro strada. Delle età che hai attraversato senza farci neanche troppo caso.
Ma, riflettendoci, la nostalgia più struggente è la nostalgia del futuro.
Nostalgia delle cose che non hai ancora fatto, delle persone che non hai ancora conosciuto, delle persone che non hai ancora amato, dei viaggi che non hai ancora fatto, dei figli che non avrai, delle età che sei destinato a non attraversare.
Nemmeno il futuro è più quello di una volta.

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30 marzoSE BEN RICORDATE, LA PORTICINA DI TRUMAN ERA COLLOCATA ABBASTANZA IN ALTO

In certi momenti ho l’impressione che non ci crediamo fino in fondo.
Questo che sta succedendo, in certi momenti, è come se avvenisse in una dimensione diversa, che non può riguardarci veramente. Che non può riguardare proprio noi. Forse c’entra l’inconscia convinzione di immortalità che abbiamo coltivato fino a poco tempo fa, e che ancora stenta a farsi da parte.
Di sicuro questa sensazione di straniamento non sussiste per chi lavora in ospedale, o che per diversi motivi può uscire da casa e verificare le strade veramente vuote, con la vita che veramente si è fermata dappertutto – come dice la tv.
Ma nella segregazione delle nostre case forse stentiamo a credere a quel che vediamo sugli schermi. Si sa che c’è poco da fidarsi. Anche il Papa da solo nell’immensità di piazza San Pietro, suvvia: fa troppo kolossal americano per essere autentico.
Il passaggio successivo potrebbe essere, dopo ancora un po’ di tempo a rosolare in questo limbo, un ribellismo diffuso fondato sulla convinzione che, se tutto è una finzione, la segregazione è solo un abuso di potere. Un Truman Show esteso all’intera popolazione mondiale.
Quindi usciremo di casa e arriveremo all’estremo limite dell’immenso set e apriremo la porticina come fa Truman nell’ultima scena, nella convinzione di uscire dalla finzione.
Ecco: allora veramente precipiteremo giù.

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1 aprileUN COLOSSAL SENZA GARANZIA DI SCAMPO

Solo adesso – e non tutti, e non del tutto – stiamo capendo che questo frangente ci riguarda personalmente.
Leggiamo con sorpresa della morte di qualcuno che ha meno anni di noi e riteniamo che sia l’eccezione che conferma la regola, espressione che serve a cavarsela quando si è spalle al muro da un punto di vista strettamente logico.
C’è, soprattutto, una convinzione dura da sradicare, che deriva dal nostro immaginario letterario e cinematografico.
Inconsciamente siamo convinti che sia un film, o che almeno funzioni come un film. Nei film si individua il protagonista anche sulla base della caratura dell’attore chiamato a interpretare il ruolo, e sappiamo per convenzione che questi non morirà se non, forse, alla fine della storia.
Siccome nella nostra percezione i protagonisti della storia siamo noi stessi, nemmeno ci sfiora l’idea di poter morire a metà pellicola – quella che noi consideriamo metà pellicola.
La brutta notizia è che questo è uno di quei colossal con grandi scene di massa e un cast formato da un’infinità attori di primo piano.
Ergo: nessuna garanzia di arrivare incolumi alla fine del film.

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