ROBERTO ALAJMO. Diario della quarantena.
Palermo, 3 aprile- 18 aprile 2020.
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3 aprile – POTEVA ANDARE PEGGIO. POTEVA PIOVERE
A gestire l’emergenza più grave dal dopoguerra è l’avvocato Giuseppe Conte, asceso al ruolo di capo del governo per circostanze che devono essere state una sorpresa innanzi tutto per lui.
Un carneade, fino a pochi anni fa, che oggi si trova a fronteggiare questo frangente avendo qualche responsabilità propria e gestendo molte responsabilità altrui, accumulate da almeno mezzo secolo a questa parte. Mezzo secolo in cui la selezione della specie in Italia si è svolta sulla base dell’incompetenza, fino a creare un vero e proprio ceto politico-burocratico di asini e servi.
Poteva andarci meglio, rispetto a Conte, con tutte le sue inadeguatezze? Poteva, certamente: se avessimo fatto qualcosa per meritarcelo.
Ma poteva anche andarci peggio.
In fondo la risposta non è l’ottimismo acritico di chi vede il bicchiere sempre mezzo pieno. Ma piuttosto il pessimismo costruttivo di chi vede il bicchiere mezzo vuoto, si procura un bicchiere più piccolo e travasa tutto lì.
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6 aprile – CACCIA ALL’UNTORE 2.0
S’avanza un nuovo moralismo, tanto più virulento in quanto lasciato a cuocere sul fuoco della segregazione di queste settimane.
E’ l’opposto correlato dell’incoscienza di chi pensa di poter uscire senza tenere conto delle regole, che valgono solo per gli altri.
I nuovi moralisti da segregazione hanno in comune con quelli da tastiera (categoria che in parte coincide) il fatto di vedere e giudicare il mondo attraverso uno schermo: quello del loro computer e quello della loro finestra.
Chiunque esca da casa è per loro un untore, con sentenza in Cassazione che non contempla la minima empatia per le esigenze altrui, che per quanto ne sappiamo possono pure essere sacrosante.
L’esempio più fulgido di questa categoria di nuovi moralisti, con l’aggravante dell’incoerenza, è il sindaco di Messina, Cateno De Luca, che adopera la fascia tricolore per bullizzare davanti alle telecamere gli innocenti pendolari e poi va a fare provvista di uova fresche a 30 chilometri da casa.
Restiamo in attesa di trovare un confine ragionevole che separi strafottenza e intolleranza, omertà e delazione.
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9 aprile – ECCO DOVE L’AVEVO GIA’ SENTITO DIRE
Per quanto ripeta come un mantra lo slogan di queste settimane, “andrà tutto bene”, io tremo al pensiero di essere amministrato nel dopoguerra da una classe dirigente che dopo due mesi di emergenza è ancora lì a baloccarsi su come fare a procurarsi le mascherine per i medici in prima linea.
Allora mi rendo conto che lo slogan che abbiamo scelto per farci coraggio è mutuato pari pari dalla sceneggiatura di un milione di film d’azione. Quando l’amico è a terra sbudellato, l’eroe che gli regge la testa gli dice sempre:
– Andrà tutto bene.
Ecco: io ho sempre pensato che se qualcuno mai mi dirà “andrà tutto bene” in un momento di difficoltà, da questo capirò di essere spacciato.
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13 aprile – IL TEMPO ISCHEMICO
Non so da voi, ma dove sono io Comune e Regione si sono incasinati all’istante, quando si è trattato di erogare gli aiuti a famiglie e imprese in difficoltà. Raccomandazioni di rimanere a casa moltissime, e stringentissime, e strillatissime. Per quel che riguarda attivamente loro, invece: procedure farraginose, centralini che non rispondono, siti internet che si impallano. E soldi che rimangono una funzione astratta.
Il governo, le regioni, i comuni possono decretare anche mille miliardi di miliardi di aiuti, ma non serviranno a niente se un istante dopo la conferenza stampa la procedura è strozzata.
Ecco che vengono al pettine i nodi del Sistema Italia, dove da cinquant’anni assunzioni e carriere nel settore pubblico si sono fatte sulla base di servilismo e incapacità, incapacità e servilismo. Dove da tempo il problema non è nemmeno più la corruzione, ampiamente soverchiata dall’inettitudine. Magari, in cambio di un tot di corruzione si potesse avere un minimo di efficienza.
La burocrazia già faceva danni in tempi normali, in tempi eccezionali sta facendo danni eccezionali. Né all’orizzonte si intravede un colpo d’ala, un’idea, una felice forzatura che possa sbloccare l’anchilosi nazionale.
È un tempo ischemico, quello che stiamo vivendo. Un tempo che si protrae. Con tutto l’ottimismo possibile: quando l’ossigeno al cervello manca per troppo tempo, i danni cerebrali rischiano di essere irreversibili.
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14 aprile – ADDIO TI DISSI
Francesco Costa sul Post spiega molto bene quanto e come stiamo, come si dice in Sicilia, afferrando cazzi n’ta ll’aria.
In un contesto del genere, poteva mancare la task force?
È un riflesso condizionato nazionale, come quando il dottore ti dà un colpetto sul ginocchio.
Terremoti, inondazioni, sciagure di ogni tipo, adesso anche per l’epidemia di coronavirus: a un certo punto in Italia interviene sempre una task force.
Per l’esattezza: prima si istituisce una task force, che poi si riunisce, in seguito fa una serie di conferenze stampa e per concludere finge di affrontare il problema senza minimamente avvicinarsi a risolverlo.
Nell’italiano parlato “Task Force”, è diventata con gli anni una formula di commiato.
L’equivalente, ancora in siciliano, dell’espressione addio ti dissi. Ossia: sè, buonanotte.
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16 aprile – A CHI SERVE IL BRUSIO
Da quando teatri, locali, ristoranti e spazi pubblici sono stati chiusi, il traffico artistico-culturale si è trasferito in blocco su internet.
Ogni artista (scrittore, attore, regista, influencer grande o piccolo) è stato chiamato alle armi se non altro per leggere una poesia o raccomandare un libro da leggere in tempi di clausura.
Il tutto si è trasformato in un brusio indistinto in cui è difficile scovare le voci più interessanti. A fare notizia è semmai chi si è sottratto a questo richiamo, in nome della discrezione e della voglia di fare silenzio: scelta almeno altrettanto comprensibile.
Ma anche quella di non sottrarsi è una scelta legittima, a titolo personale. Nessuno leggerà il libro che consiglio io, ma almeno mi servirà a sentirmi meno inutile. Guardo nello specchio e verifico di essere ancora vivo.
E poi c’è l’altra motivazione, quella che vale anche quando ti chiedono di firmare una petizione: fai prima a farlo, piuttosto che a spiegare che è tempo perso.
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18 aprile – GLI AMICI POSTUMI
(In morte di Luis Sepulveda)
Il necrologio ai tempi di facebook si è evoluto in senso democratico. Chiunque può scrivere di chiunque, magari solo il rigo dell’eterno commiato: Ciao Pinco – per dire, nel caso di Pallino.
Al di là dell’affetto che ciascun lettore può provare per uno scrittore molto amato, però, mi pare che la circostanza si presti in certi casi a fare da palestra per quelli che ex post si sentono autorizzati a ostentare familiarità. Una familiarità che per discrezione – se ci fosse veramente, da parte di un vero amico – si manterrebbe riservata. Per capirci: quelli per cui Sciascia post mortem diventa Leonardo, se non direttamente Nanà.
La caratteristica di questo genere di necrologi consiste nella formulazione “Io e Lui”. Nemmeno: “Lui e io”. Nel senso che quasi sempre ciascuno racconta se stesso usando il defunto come spalla. L’autore dimostra sempre grande intimità con lo scomparso, ne narra aneddoti in cui brilla soprattutto la figura di chi scrive e sopravvive. Pubblica fotografie dove la dimestichezza di un minuto, magari lo scatto dopo la presentazione di un libro, si trasforma in eterno cameratismo.
Quel che su scala colossale avviene per Giovanni Falcone – tutti suoi grandi amici, post mortem – succede in piccolo ogni volta che muore un personaggio popolare.
Forse in questo consiste la pena dell’inferno: ritrovarsi amici di persone mai conosciute prima.