Apr 26

Diario in tempo di… Favara, Lunedì 31 Marzo 2020

(di FRANCESCA VIRONE)

Una tragedia nella tragedia

È il 31 di marzo, è sera e ho le lacrime agli occhi. Ho gli occhi gonfi e rossi; il ticchettio delle lancette dell’orologio in cucina si fonde con il battito delle mie tempie.
Sono sola nella mia camera e piango, tutto tace.

In casa non si parla da un paio d’ore, non abbiamo né parole né frasi. Abbiamo consumato tutte le lacrime. Forse ora, a fine giornata, potremo trovare ristoro nei nostri freddi letti.

Sono le 23.40, chiudo gli occhi, guardo il soffitto e penso al valore della vita, alla bellezza di un sorriso, alla dolcezza di un abbraccio. Guardo ancora il soffitto e riabbasso le palpebre. Le lacrime continuano a graffiare il mio pallido viso. Non ho mai riflettuto così tanto su quanto sia fugace e balorda la nostra esistenza. È tutta la giornata che mi risuonano in testa i versi di Ungaretti: “non mi sono mai sentito così tanto attaccato alla vita”. Poi mi chiedo ma quando parlo della vita, a quale vita mi riferisco? Che vita temo? Quale esistenza è in pericolo?

La nostra? Era in pericolo prima ancora che scoppiasse la pandemia, prima ancora che questo caos generale prendesse posto nelle nostre vite.

Lo dico con fermezza, perché non trovo più umanità.

Sì, mi riferisco proprio a quell’umanità che sembra dimenticata, soffocata, vilipesa. Mi appello al diritto affinché possa indicare agli esseri umani la via per ritrovarsi. Chiamo in causa Te, mio primo amore: Letteratura, tu che sei per me fonte di salvezza, nutrimento della mia anima, alimento dei miei sogni, porto sicuro su cui approdare. Mi hai aiutata a difendermi dagli smarchi della vita. Hai avuto il grande potere di aprire i cantieri della mia anima. E così, soltanto così, in me stessa ho realizzato la divinità dell’essere. Ecco vorrei che tutti potessero conoscere il tuo immenso valore.

Izet Sarajlic nel 1930 scriveva: “Oh tenerezza umana, dove sei? Forse solo nei libri”. Parole dense di significato che riecheggiano con forza nella mia mente oggi, 31 marzo.

Sì, proprio il 31 marzo…

A mattina inoltrata mi sono svegliata e con la consuetudine di sempre ho chiamato mia madre, ho sempre avuto bisogno di vederla o sentirla prima di iniziare una nuova giornata).

Ecco che ho visto la sua ombra, la sua sagoma sempre più grande e vicina a me. Mi veniva incontro. Pensavo che, come d’abitudine, mi avrebbe portato la colazione a letto.

Il mio viso era ancora annebbiato dal sonno quando si è imbattuto in quello di lei, le volevo accennare un saluto ma i suoi grandi occhi verdi mi hanno paralizzata: erano rossi di pianto.

Mi sono allarmata. Potrei sopportare tutto, qualsiasi forma di dolore ma mai quello di vedere soffrire le persone che amo.

Il mio cuore si è gelato di colpo, non capivo. Mentre mi accingevo a chiedere cosa fosse successo mia madre ha anticipato le mie parole. Mi ha spiegato mestamentente che in mezzo a cotanta sofferenza e a questa precarietà che incombe su di noi, oggi, le nostre vite sono state lacerate da un altro grande dolore, tutta la comunità favarese sta piangendo la perdita di una giovane figlia. Una tenera vita è stata spezzata.

Oggi è morta strangolata dalla persona che più amava al mondo una nostra sorella, una nostra amica, una nostra collega, una nostra compaesana.

Oggi abbiamo dimenticato la paura della pandemia. Abbiamo capito che non esiste virus, batterio più potente della forza bruta e violenta dell’uomo.

Oggi per me è una giornata straziante in cui solo le preghiere si alternano ai pianti.

Non c’è più musica che possa lenire questa quarantena. Oggi non c’è “cubbaita” che possa addolcire le mie giornate; non c’è scambio di battute dei mie familiari che possa rallegrare questo freddo pomeriggio di marzo.

Di questa immane tragedia domani sicuramente parleranno tutti i giornali. Ma oggi ho l’urgenza di denunciare a gran voce la bestialità umana artefice di abbruttimento, violenza e degradazione, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalità. Solo in questo modo riesco a dare libero sfogo alla mia tristezza mista a rabbia.

Io e tutta la mia Favara in lacrime chiederemo più giustizia e umanità per la giovane sorella, per tutti noi che ancora crediamo e sogniamo in un mondo migliore.

Mi piace crederlo e sperarlo. Rinasceremo a nuova vita, migliori di prima.

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