(di VITO SALVATORE MESSINA)
Partinico, 03 aprile 2020
Conversazioni e condivisioni.
Svegliarsi alle 8.00 del mattino a Partinico illuminata e scaldata da un sole primaverile, silenziosa e ammutolita da un decreto che mira a sconfiggere un nemico microscopico e quasi invisibile. La giornata é scandita da silenzi assordanti, fatta di nuovi rituali rispetto a quelli di qualche mese fa. La giornata inizia con l’odore del caffè che invade la casa e raggiunge facilmente la mia stanza. È come un richiamo: mi alzo e vado fare colazione, un momento davvero unico e speciale, dato che questo è il periodo di convalescenza di mio padre dopo l’intervento subito. Conversiamo sui primi aggiornamenti riguardo alla situazione terribile nel nostro Paese. Rifletto sul valore che ha questa conversazione, cosa che magari non avviene normalmente quando preso da mille impegni non trovo mai il tempo di fermarmi a parlare e ascoltare. Finita la colazione e faccio la puntura a mio padre: lui va a distendersi, mia madre si adopra nelle faccende domestiche ed io resto in cucina. un luogo sacro per me perché è il posto dove ho sempre studiato. Proprio lì sul tavolo c’è lui, il mio compagno di tanti giorni, Senofonte che col suo Economico mi tiene compagnia e mi distrae dai mille pensieri che affollano la mia mente. Alla prima pausa arriva mia madre e ci godiamo un caffè seguito da una sigaretta e parliamo di tutto. Poi arrivano le videochiamate delle mie sorelle e così abbracciamo virtualmente i bambini, i miei amatissimi nipotini che in un periodo così di lockdown mi sembrano più lontani che mai e tra un tentativo di sillabare di Gabriele, un sorrisone sdentato di Salvatore e una chiacchierata con la mia principessa Irene, passa un’ora. Giunge l’ora del pranzo e tra un tg e l’altro condividiamo pensieri e discutiamo. Dopo cala il silenzio, non si sente nulla per strada, soprattutto manca il lieto romore degli schiamazzi dei bambini di quartiere. È in questo silenzio tombale che i miei pensieri con irruenza e prepotenza invadono la mia mente. È un periodo in cui rifletto molto su tutto, in particolare sulla politica del mio paese e sulla sua condizione di comune commissariato dove niente va per il verso giusto, un comune senza regole dominato dall’egoismo e dall’ignoranza. Basti pensare che non c’è una vera libreria se non delle edicole che si spacciano per tale: ed è un comune con più di trenta mila abitanti.
Penso che il mio paese sia come Macondo, un paese fuori dal mondo come scriveva Marquez nel suo celeberrimo Cent’anni di solitudine. È un paese che non trattiene ma caccia, che non dà, ma prende e non rende, un paese in balia di pochi, quasi un sistema oligarchico ateniese: la sua amministrazione è sempre in mano alle stesse persone o ai loro diretti discendenti. Al calar della sera, mentre l’odore della cena inebria la casa, inizia il Santo Rosario della mia vicina che lo declama col megafono accompagnato da canti e appena finisce intona il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano. Dopo l’ennesimo tg di giornata e un programma di approfondimento sul Covid si va a dormire e nel chiudere gli occhi il mio ultimo pensiero è rivolto a me stesso, a quanto sono fortunato, perché nella chiusura domestica ho potuto condividere momenti con i miei genitori e conversare con loro, rimediare a quelle volte che non l’ho fatto rimandando sempre a domani, vivendo nella certezza della loro presenza. Il momento terribile che stiamo vivendo mi sta insegnando che il domani è oggi. Condividere e conversare due parole che racchiudono in sé il senso dell’unione.