Mag 25

Diario in tempo di… Termini Imerese, 31 marzo 2020

(di DANIELE AMODEO)
Termini Imerese, 31 marzo 2020

ore 19.30

Il sole sta scendendo dietro i monti della Conca d’oro. Digito i primi tasti sul pc, su questo oggetto che per mesi è rimasto quasi inutilizzato in fondo al cassetto della scrivania e che adesso è invece diventato la mia insostituibile finestra sul mondo, anche per me che sono sempre stato così legato alla carta. Oggi piuttosto che sulla cellulosa le notizie viaggiano veloci sui pixel dello schermo e arrivano ovunque. Oggi anche gli affetti viaggiano su uno schermo: qui si intrecciano le voci, gli sguardi. Manca il contatto che emana calore, l’abbraccio che trasmette sicurezza.

Vedo fuori Don, il mio cane, che sta seduto e guarda in direzione del tramonto. Starà sognando anche lui, penso. Subito dopo scopro che, molto prevedibilmente, mi ero sbagliato anche questa volta: sta osservando con cattive intenzioni soltanto un gatto su un albero sotto casa.

Colline ricoperte di ulivi secolari e alberi di mandorle amare separano la mia casa dal mare, questa sera più limpido che mai. Mai come oggi, infatti, mare e cielo si confondono, in una nitidezza e in un silenzio solitamente difficili da percepire. Capo Zafferano sembra sospeso su un azzurro che volge al grigio ed il suo riflesso sul mare piatto è perfetto. Si staglia e taglia questo cielo indistinto a metà, in due parti speculari e uguali. Ma con un flash la mia mente vola all’estate, a quei tuffi dalle rocce del faro costruito secoli fa nella punta più estrema del capo. Da lì scorgevo in lontananza la mia città e il monte San Calogero che sembra proteggerla in un abbraccio. Adesso mi trovo esattamente dall’altro lato ed osservo quella luce intermittente che ad ogni intervallo regolare getta un fascio di luce su un mare che si fa sempre più scuro.

Abbasso gli occhi  al pc e la luce dello schermo un po’ mi stona. Quasi mi ero abituato a quel crepuscolo che si fa notte. Ma stamattina, all’estremo opposto di questa giornata che termina, ricordo che ero rimasto colpito da un sogno che stranamente è rimasto impresso nella memoria.

Da qualche notte a questa parte i miei sogni hanno a che fare con la silenziosa e lenta bufera che stiamo attraversando: penso voglia dire che il virus è entrato nella mia quotidianità più profonda. Ma il sogno di stanotte porta con sé un’immagine di speranza che inconsciamente mi spinge a guardare avanti, e non indietro. Conduce infatti le lancette in un tempo indefinito, perché non sapremo mai quando e se tutto tornerà a quella che consideravamo normalità. Ho sognato di fare una cosa comune fino a qualche tempo fa. Prendevo il treno ed andavo in giro per le strade di Palermo. Qui visitavo librerie e biblioteche e compravo e prendevo a prestito libri. Tutto mi sembrava così normale ed allo stesso tempo così eccezionale perché aveva il sapore della libertà riconquistata e non di quella perduta.

Eppure quel sogno in qualche modo è stato premonitore: oggi quantomeno è stata una giornata all’insegna della lettura. Questo sì. Ho iniziato di prima mattina con la telefonata di mia cugina: spesso mi chiede di darle una mano. Oggi è stato il turno di Manzoni e dei Promessi Sposi. Questa lettura è stata un’occasione per comprendere come passato e presente per alcuni aspetti non sono così lontani. Ora come nella Milano del Seicento si è sempre alla ricerca degli untori, dei capri espiatori, delle vittime contro cui abbiamo bisogno di scagliare la nostra rabbia e la nostra paura. Puntare il dito contro qualcuno, inspiegabilmente ci fa sentire meglio e incolpevoli. Ma più nessuno è incolpevole, sembra farmi eco Montale. Nessuno.

Dopo pranzo ho approfittato della giornata soleggiata per fare il solito giro nel giardino, per controllare l’allegagione delle fragole, la maturazione delle nespole e la fioritura del grande ciliegio. La natura è nel momento del suo massimo vigore. Gli uccelli cinguettano come se fosse un pomeriggio di un aprile qualunque, anche le formiche operose portano cibo alla loro tana. Mi rendo conto che in natura tutto procede in modo così regolare e spontaneo da apparire insolito ai miei occhi. Sembra strano che gli animali e le piante non partecipino al nostro dolore e alla nostra preoccupazione. Il dramma, l’angoscia è tutta in noi, penso.

Torno a sedermi alla scrivania e inizio a leggere lo scrittore che è diventato il mio cibum quotidiano, Alberto Moravia. Questo sorprendente romanziere che per un periodo si è messo a scrivere anche poesie, in cui è protagonista l’angoscia per il futuro di una società considerata ormai al crepuscolo. Oggi sto leggendo le pagine di un suo diario, Diario europeo, che in realtà non è un vero e proprio diario. Sono piuttosto delle riflessioni lunghe fatte nell’ultimo scorcio della sua vita sull’Europa, sull’arte e sull’esistenza.

ore 20.00

Adesso fuori è buio pesto e la finestra è diventata uno specchio che riflette la mia immagine. Non guardo più fuori, scruto me stesso con attenzione, e non posso che notare innanzitutto una barba non curata e dei capelli cresciuti a dismisura.  Poi sotto questo strato superficiale noto un’espressione diversa del solito, più rilassata e serena. Mi illudo che dopo questa prova che tutti siamo stati chiamati a sostenere ne usciremo diversi, consapevoli di dover cercare solo l’essenziale… Ma ecco che un brivido di freddo mi percorre la schiena e mi desta dai pensieri. Sopra sento già mia mamma che mi chiama: anche oggi è arrivata l’ora della cena.

About The Author