(di CLAUDIA SPATOLIATORE)
Resto qui. Un pugno di sillabe iconiche, presenze militanti di una ostinata disobbedienza civile che reclama diritto di ascolto e di memoria.
Marco Balzano, professore e scrittore, «due mestieri che danno la massima considerazione alle parole», affida alle parole clandestine di Trina il valore dirimente di un risarcimento sociale: la parola si rivendica come questione etica e politica. È sempre monumentum, memento di un fatto, individuale o collettivo, e monito civile, icona di un modus cogitandi e agendi che trova sempre nell’altro il suo referente.
Risuona imponente, infatti, in ogni stralcio del tessuto testuale, l’esortazione del padre di Maja – l’amica più percettiva delle dinamiche politiche in atto, dei ripetuti attentati all’identità di Curon, e, logicamente, la più intollerante alle parole vuote e alle sue derive etiche: «Quando vi sposerete ditelo ai vostri mariti, e ricordatevelo anche voi, se non vi occupate di politica la politica si occuperà di voi!» (Resto qui, Einaudi, 2018, p. 16).
La parola, dunque, non è mai autoreferenziale, e la sua voce mai monotonale ma sempre collettiva e democratica. L’immagine etica della parabola, insomma. D’altra parte, Balzano ha spesso dichiarato di vivere la letteratura di stampo civile come l’unica praticabile per vocazione personale e per assunzione di responsabilità: il confronto con l’altro si configura come un vincolo morale, imprescindibile antidoto alla riduzione nichilistica della parola. Così, «se il sapere fosse un’immagine sarebbe proprio un ponte, perché implica sempre che le parole debbano arrivare all’altro» , sancire un patto di reciprocità tra poli comunicanti (Cfr. Una storia è sempre lingua, voce., https://www.illibraio.it/news/dautore/marco-balzano-intervista-774055/).
Il saggio Le parole sono importanti, pubblicato per Einaudi nel 2019, dove la caratura morale e civile dello scrittore si incontra con l’espressività poetica dell’etimologia, sembra guidare il lettore, mediante le dieci parole-metafore indagate, a una decodifica, a una ulteriore interpretazione del valore resistenziale delle parole di Trina.
La fruizione comparativa di questo saggio – un vero e proprio vademecum! – e del romanzo ci restituisce due evidenze: la specularità di immagine visiva e parola, e l’invito al lettore a coglierla e a farsi compartecipe di un percorso.
L’autore ha, in più luoghi, precisato come sia spesso l’eloquenza di un’immagine a indicare una storia. E così, il campanile sospeso nel lago si è configurato come presenza residuale e resistenziale, che si eleva e prende parola: “io resto qui”.
Precede, dunque, l’immagine e si procede per immagini nella narrazione della sparizione di Curon, terra liminare e contesa. Questa pratica trova conferma, a mio avviso, nella simmetrica complementarietà dei due quaderni – di parole e di immagini – di Trina ed Erich, manifestazioni di un dolore privato e preservato, sulle cui pagine il ricordo della figlia Marica si fa presenza, dialogo. Testimoni di una sparizione – l’ennesima – e fotografie di humus emotivo riscoperto e condiviso, i due quaderni non necessitano d’altro, interpretati nella logica della polarità comunicante del nostro autore, se non di essere semplicemente osservati, e osservati dall’occhio scrutatore del lettore.
Ed è in quel quaderno che si dipana la narrazione della clandestinità, è lì che emerge l’etimo politico delle pratiche verbali di Trina: parole educatrici, strumenti di didattica nelle catacombe, nelle scuole di tedesco non autorizzate dal regime; parole performative, atti di intervento politico (Trina nella veste di ghostwriter di Erich); parole(-)artefici, che plasmano corresponsioni di fantasie amorose nelle lettere dal fronte, derubate del contenuto a causa della censura, e che processano una cronaca della Resistenza, pur nella misura privatamente diaristica, eminentemente storica.
Le parole disobbedienti disattendono anche certa linearità sintattica, per non eludere la strategia etica ingaggiata. L’uso iterativo delle dislocazioni a destra, infatti, oltre a strizzare l’occhio al parlato e a rendere ancora più fluida una scrittura asciutta ed essenziale, accentua una marcatura: rende visibile la preminenza di determinate parole in un flusso dalla caratura aforistica.
Si tratta di parole semplici, ampi contenitori semantici, e perlopiù astratte, ma subito tradotte in evidenze materiche di una ratio etica, di senso ponderato. Qualche esempio:
«Ti fa sentire una ladra certe volte l’amore» (p. 9)
«Diventa una vertigine, il dolore» (p. 55)
«Per lei erano il nemico più grande, i pensieri» (p. 72)
«Erano diventate un’estensione del nostro corpo, quelle pistole» (p. 101)
La letteratura civile di Marco Balzano districa la trama labirintica del reale, e indica al lettore, invitato ad attivare la sua coscienza etica e politica, una direzione: il suo etimo è l’indignazione.