(di GIUSEPPE LUPO)
Oggi ho richiuso il tavolo a ribalta su cui ho lavorato in questi cinque mesi. L’avevo aperto il 25 febbraio, di ritorno da Praga, dov’ero andato a documentarmi sulla vita di Franz Kafka, e su quel tavolo ho scritto il libro su Praga e su Kafka. È come se una parentesi si fosse aperta quel giorno di febbraio e, insieme con essa, cominciasse un periodo che non sapevamo quanto sarebbe stato lungo e con quali conseguenze. Ho sempre creduto che il tempo non procede in maniera lineare, ma per segmenti, per parentesi appunto. E quella che si spalancava il 25 febbraio, con l’apertura del tavolo, aveva la parvenza di una notte, di cui immaginavo una fine non così lunga, come poi si sarebbe rivelata. Quel che sarebbe accaduto dopo l’apertura del tavolo è stato un territorio che ho attraversato dentro le paure di una civiltà, alla quale sento di appartenere ma di cui non sempre condivido le manifestazioni: una civiltà che forse ha preparato la strada al virus, gli ha dato una patente per muoversi. Io non so se quello che è accaduto nei mesi successivi al 25 febbraio, quando il computer su cui ho scritto è rimasto poggiato sul tavolo bianco, sia stato soltanto un problema sanitario o se piuttosto non abbia avuto una radice morale. Io penso di sì, ma non ho la completezza degli argomenti per dimostrarlo. Al contrario, riesco a ripercorrere il tempo del tavolo bianco, i mesi di trepidazione e di attesa in cui non c’era tempo per pensare se non a cercare un argine di sopravvivenza, a intuire un espediente per scavalcare la lunga notte che ci accingevamo a percorrere. Ora che il tavolo bianco si è chiuso, non siamo usciti ancora del tutto da questa notte e rivedere la casa essere tornata al suo assetto di sempre, con la ribalta chiusa dietro cui nessuno sospetta la presenza di un tavolo da lavoro, aiuta solo in parte a pensare che siamo tornati alla normalità. La parentesi si è chiusa solo formalmente. Tutto ciò che è entrato dentro di essa – il lavoro, le pagine scritte, i libri letti, il cibo consumato, gli sguardi con la famiglia – rappresenta una sorta di eredità, da conservare per il futuro, su cui costruire il tempo che verrà. Un salto nel tempo non è detto che risolva i problemi che ci assediano, né chiudere una parentesi equivale a rimettere a posto le epifanie del tempo. Tuttavia ha un senso aspettare la fine di un’epoca cominciata con l’apertura di una parentesi per quella in-visibile regola per cui i fatti seguono lo schema di un’altalena: un’andata e un ritorno, come scriveva Vico.