( di FRANCO LO PIPARO)
Una premessa terminologica.
“Diario” è parola che deriva dal latino dies ‘giorno’ e viene solitamente usata in riferimento a un’opera in cui lo scrivente annota fatti e sensazioni che vive in prima persona. Nella sua accezione più ampia e iniziale indica genericamente una «forma elementare di storia in cui gli avvenimenti sono registrati giorno per giorno» (Vocabolario Treccani). Da qui l’uso di diario come sinonimo di giornale: “diario di bordo” ma anche “giornale di bordo”. Userò la parola nell’accezione ampia di racconto dettagliato di un’esistenza.
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Tra la vita vissuta e la vita raccontata i confini sono labili o inesistenti. Viviamo raccontandoci quello che stiamo vivendo. Raccontandolo anzitutto a noi stessi diamo senso a quanto ci sta accadendo. Vivere e raccontare sono per gli umani attività inscindibili. La vita umana è costitutivamente narrativa. Anche per i non letterati e gli analfabeti. Da qui bisogna partire.
Il diario non è però solo racconto. È racconto scritto. Per apprezzare il ruolo che svolge la scrittura pensate a due personaggi esemplari e fondamentali nella storia dell’umanità: Socrate e Gesù. Entrambi non scrivono, sono personaggi orali. Pensate che ne sarebbe stato di loro se altri non avessero scritto per loro: Platone e Senofonte per Socrate; Matteo, Marco, Luca, Giovanni, tra i primi, per Gesù. Non esisterebbero, sarebbero morti con la morte fisica e la storia dell’umanità sarebbe stata diversa da come la conosciamo.
Socrate e Gesù, personaggi orali per scelta, esistono perché altri hanno scritto il diario della loro esistenza che loro non hanno voluto scrivere. La scrittura ha dato loro una esistenza non caduca. Li ha resi immortali. Li ha anche trasformati in figure esemplari.
L’esemplarità di Socrate e Gesù nasce anche dal fatto che i diari della loro esistenza sono stati scritti in differita. Non è un tratto secondario. In questo caso il diarista, che non è l’attore dei fatti raccontati, scrive quando l’esistenza si è conclusa e ciò consente un racconto interpretato a partire dall’esito finale. Chi vive un evento non conosce come la storia si andrà a concludere. Il diarista in differita lo sa.
I diari scritti della vita di Gesù hanno anche due peculiarità che li rendono unici: Gesù pensa e parla in aramaico, i suoi diaristi (almeno quelli che conosciamo) ne scrivono in greco; nessuno dei suoi diaristi è stato testimone diretto dei fatti raccontati. Questi due tratti oggettivi rendono non scontata l’identificazione totale tra il Gesù reale e il Gesù raccontato. Questo non toglie nulla alla forza trascinante del Gesù raccontato. Due millenni di storia stanno a dimostrarlo.
Andiamo a noi, viventi del ventunesimo secolo dell’era cristiana. La tecnologia digitale ha rivelato la natura costitutivamente narrativa del vivere umano: viviamo registrando in maniera ossessiva ogni attimo del nostro esistere. È come se qualcosa esista se e solo se la duplichiamo in una narrazione che può essere una fotografia, un filmino, un resoconto verbale da inserire in una delle tante piazze digitali che per il momento si chiamano FaceBook, Instagram, Twitter, WhatsApp, eccetera. L’uomo digitale vive scrivendo diari pubblici. Il diario pubblico non è aggiuntivo al vivere contemporaneo ma sua parte costitutiva e essenziale. Questo ci dà l’illusione dell’immortalità.
Altra fondamentale differenza rispetto al passato pre-digitale: la scrittura diaristica digitale non appartiene a una ristretta élite ma è nella disponibilità di tutti, proprio tutti. Chi non è in grado di fotografare o filmare una qualsiasi cosa con uno smartphone? Certo, il professionista della scrittura aggiunge un commento più elaborato ma questo è un fatto secondario rispetto al problema che qui stiamo trattando.
Facciamo adesso uno sforzo di immaginazione. Immaginiamo Socrate e Gesù in un universo digitale. Voglio dire un Socrate e un Gesù le cui azioni e le cui parole vengano registrate in tempo reale. Avremmo avuto un Socrate e un Gesù più aderenti alla realtà vissuta ma non avremmo avuto né la filosofia greca né il cristianesimo. Senza il racconto paradigmatico e selettivo della vita e della morte di Socrate fatto da Platone la filosofia greca probabilmente sarebbe altra da come la conosciamo. I racconti altrettanto paradigmatici e selettivi di Gesù fatti da Matteo, Marco, Luca, Giovanni, Paolo avrebbero dovuto fare continuamente i conti con documenti di vario tipo e avrebbero perso la loro evocativa forza religiosa.
Faccio un esempio. Paolo racconta che Gesù dopo la morte «apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta» (Prima lettera a Corinzi, 15, 6). In epoca digitale almeno uno dei cinquecento non si sarebbe fatto sfuggire l’occasione di registrare col proprio smartphone un evento così eccezionale. La resurrezione avrebbe immediatamente perso il suo significato simbolico.
E se la letteratura fosse più reale della realtà? Era l’idea di Sciascia che riformulerei in questo modo paradossale: la letteratura è più reale del reale perché produce una realtà più convincente della realtà. Socrate senza Platone, Gesù senza Matteo, Marco, Luca, Giovanni e i tanti altri che ne raccontarono l’esistenza non avrebbero generato né la filosofia greca né il cristianesimo. Socrate e Gesù sono personaggi letterari e, per questo, più reali di Socrate e Gesù reali.
Per concludere, pongo ai lettori un nodo di domande che Sciascia non poteva porsi: il diario digitale è letteratura? Se lo è, che tipo di letteratura è? Nella espressione “letteratura digitale” l’aggettivo ‘digitale’ indica il medium o, per usare la formula del vecchio McLuhan, è il messaggio?
BUON VIAGGIO AI NAVIGANTI