(di IVANA VERMIGLIO)
Isola delle Femmine, 13 maggio 2021
ore 00:27
Sento il garrito dei gabbiani. La serata è fresca e di tanto in tanto una leggera ventata di aria entra prepotentemente nella mia stanza dalla finestra che ho lasciato socchiusa.
C’è silenzio, ci sono io. C’è il paese che dorme lì fuori anestetizzato dal coprifuoco: lo sento dormire in ogni mio respiro, lo percepisco ogni volta che chiudo gli occhi e la brezza mi fa rabbrividire.
Si dice, secondo una convinzione che per adesso accomuna un po’ tutti i miei coetanei, che la notte trasformi l’animo umano rendendolo più fragile, solo, nudo in un silenzio assordante, smarrito in un vuoto denso. Durante le ore notturne, infatti, tutti i pensieri che sconquassano il cervello sembrano più grandi, insormontabili, dei giganti mostruosi, dei signori del buio che vogliono spaventarti. Il buio ti soffoca e ti urla contro parole impetuose. Cerco un posto dove mettere a tacere l’angoscia: scrivo nelle note del mio iPhone, scrivo nel diario verde, oppure scrivo sul primo foglio sgualcito che mi trovo intorno. Vorrei solo silenzio, un silenzio vero.
ore 03:51
La Notte avanza con passo lento e sicuro. Occhiuta, si aggira tra le vie del paese con baldanza: c’è chi dorme e non si accorge di essere spiato; c’è chi come i pescatori, stanchi e assonnati, esce da casa per andare a lavorare; c’è chi piange e preferisce non parlare. C’è chi fa l’amore. C’è chi tiene gli occhi aperti ma si trova altrove. E poi ci sono io, ancora sveglia: lei è sorpresa, ne è felice e in fondo non vede l’ora di prendersi un po’ gioco di me.
La pandemia mondiale causata dal Covid-19 me l’ha fatta conoscere ancora di più. Me l’ha presentata come quando ad una festa privata il padrone di casa ti presenta un’ospite speciale: una signora dai capelli lunghi neri fluenti, abito da sera, affascinante e malinconica, una di quelle persone che ti fanno subito una strana impressione; ha l’aria di chi osserva molto, di chi ascolta tanto, di chi sussurra fredde verità. Prima del 2020 non la conoscevo, o almeno, la immaginavo più vicina ad una teenager, ubriaca, splendente nella sua oscurità, una persona distratta, spensierata, sfuggente, non disposta ad ascoltare. La intravedevo di solito negli schiamazzi e nei vicoli illuminati del paese, nel tonfo di una bottiglia di vetro di birra che si spacca per terra e in quei baci nascosti dati all’angolo di una strada scognita. Probabilmente ero io non totalmente disposta a darle confidenza, forse per indifferenza, forse perché ero sicura di saperne abbastanza.
Lo stravolgimento della mia routine quotidiana dovuto alle restrizioni anti-covid mi ha provocato un malessere incontrollabile. Ho sperimentato, mio malgrado, l’insonnia. A volte mi arrabbiavo e mi preparavo una camomilla (mai piaciuta!), altre volte invece mi spostavo per casa, tra la mia stanza e il soggiorno, mi sdraiavo sul divano e cercavo un passatempo. Ma le moine della Notte mi tenevano vigile, ero stretta nella sua morsa e difficilmente avrei zittito quel tormento. E così anche stanotte mi sento prigioniera di qualcosa di cui non conosco la sostanza, di qualcuno di cui non conosco l’anima. Una prigione invisibile fatta di parole e pensieri, sì, ma pur sempre una prigione di cristallo da cui è difficile evadere. Sono prigioniera dei miei pensieri o della Notte?
Spesso mi sento nuda in mezzo a delle verità che consideravo menzogna. I pensieri mi spogliano delle bugie perché mi stanno troppo strette addosso. Mentre vivo questa perenne condizione di instabilità, ragiono sul fatto che questa pandemia mi ha venduto riflessioni a caro prezzo, talmente tante che ho la testa confusa, piena. Ho imparato a dare un peso ad ogni azione che compio e ad ogni parola che dico; ho imparato ad avere una tremenda paura e nello stesso tempo a sconfiggerla. Ho imparato ad osservare il buio della mia stanza. Ho imparato a rimanere in silenzio e ad ascoltare la Signora che mi elargisce consigli e che mi esorta a rimediare ad alcuni errori. A volte sento la sua presenza come qualcosa di quasi necessario in questo momento della mia vita che, nonostante tutto, si sta rivelando un periodo di crescita e di consapevolezze. Infatti ho imparato a trascorrerci molte ore, a conviverci, e se per caso Morfeo avesse voluto scherzare un po’ con me lei, avida e gelosa, mi stringeva forte e con un sussulto riaprivo gli occhi, senza scampo. Il prezzo da pagare dunque è un’insonnia con la quale sono in perenne conflitto: amare o odiare la Notte? Sapevo benissimo che era un prezzo eccessivo, un male che con il passare del tempo mi avrebbe indebolito, mi avrebbe confusa. Sarei stata vittima e carnefice di me stessa.
Le lancette dell’orologio girano ripetutamente senza mai fermarsi e io sono consapevole del fatto che anche questa volta avrebbe vinto lei. L’avrei amata, o magari l’avrei odiata. Non ho molta scelta: sono costretta ad ascoltarla e a pagare, o forse a scontare, una condanna di cui non ricordo bene il crimine.
Intanto però, per ingannare il tempo, ho deciso di leggere qualche pagina di un libro che ho sulla scrivania per un esame universitario: La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia. Sono ancora alle primissime pagine del capitolo iniziale: “La scienza, come la poesia, si sa che sta ad un passo dalla follia: e il giovane professore quel passo lo aveva fatto, buttandosi in mare o nel Vesuvio o scegliendo un più elucubrato genere di morte”. Mi fermo qui, non riesco ad andare oltre perché mi balenano in testa tante conversazioni, tanti episodi, tanti eventi della vita quotidiana. È un continuo via vai di pensieri, suggestioni, persone, e non riesco a concentrarmi sul libro. Scienza, poesia, follia, professore, mare, morte. Quelle parole che rimbombano in me sono così familiari! Mi ricordano ciò che sto vivendo in questo preciso periodo storico. Vaccini Covid, poesia, nottate, università, casa, morti.
ore 04:19
Non è più ieri, ma non mi sembra neanche esser già oggi. A quest’ora della notte non è ieri e non è oggi, è un tempo indefinito: ci ho riflettuto molto durante questi frangenti di immobilità. Ho ormai preso una certa familiarità con questo tempo che scorre e che mi scivola tra le dita.
Parlo con la Notte, parlo con me stessa, parlo in silenzio. Nessuno però mi sente.
Mi sembra di recitare nella grande bugia che dico a me stessa. È follia? Sono pazza?
ore 05:53
Forse ho dormito un po’. La coperta è cascata giù dal letto, non so di preciso come sia successo. Non vedo e non sento più la Signora seduta qui accanto a me. Alzo lo sguardo e non so se cerco la sua presenza o se in fondo spero di starle il più lontano possibile. E invece sta camminando, attraversa viale Italia con aria fiera e probabilmente arriverà alla fine della strada, in riva al mare. Ecco, si è girata, mi ha guardata e io la scorgo dalla mia finestra: è soddisfatta, mi ha fatto l’occhiolino e mi ha dato appuntamento per la prossima volta e io non so se arrabbiarmi, esserne felice o rassegnarmi. Adesso la vedo sprofondare tra le onde del mare, lei sempre con passo elegante e deciso.
Il cielo ormai ha tonalità chiare ed è pronto ad accogliere un nuovo giorno. Non sistemo la coperta, non metto neanche gli occhiali. Solo ora, nella prima luce del mattino, provo a chiudere serenamente gli occhi, forse potrò rubare altre due ore di sonno.
I gabbiani sono più insistenti, avranno trovato da mangiare e litigano tra di loro per il bottino. E io non so più se ho scritto, se ho vissuto, se ho sognato o se sono prossima alla follia.