Incontro con Evelina Santangelo del 15 aprile 2024 organizzato dalla Spring School del Dottorato Mi.Di.Gi. dell’Università degli Studi di Palermo, presso l’aula P1058 del Complesso Sant’Antonino. L’autrice ha dialogato con la prof.ssa Alessandra Di Maio e le dottorande Grazia Aiello (Migrazioni, differenze, giustizia sociale) e Marta Accardi (Studi Umanistici).
Dopo i saluti della prof.ssa Mari D’Agostino, Coordinatrice del Dottorato Mi.Di.Gi.,
breve introduzione della prof.ssa Alessandra Di Maio, docente di Letteratura Inglese:
Evelina Santangelo è una scrittrice poligrafa: dalla sua penna sono nati tanti romanzi, come La lucertola color smeraldo, Da un altro mondo. L’opera di cui parliamo stasera, Il sentimento del mare, mescola reportage, scrittura lirica e riflessioni politiche, diventando quasi un pamphlet sul mare. Si distacca un po’ dai precedenti romanzi, ma allo stesso tempo si lega alla raccolta dei vari racconti che l’autrice ha scritto, ma anche ad alcuni articoli che ha elaborato negli ultimi anni per L’Espresso e tante altre testate, che hanno a che fare proprio con la riflessione sul mare, sulla migrazione, sull’essere donna.
Evelina Santangelo
L’Università di Palermo è uno dei posti in cui vengo e torno sempre volentieri. È stato fatto un lavoro eccezionale sul testo pubblicato precedentemente. Questo aiuta a capire che chi scrive non scrive per sé stesso, ma perché sente l’urgenza di mettersi in relazione con gli altri attraverso delle storie.
Marta Accardi
Come lei ha appena detto, «chi scrive non scrive per sé stesso» ma perché è alla ricerca di un contatto con gli altri. Lei ha bisogno di una forma per entrare in relazione con il prossimo, e per Il sentimento del mare, di cui parliamo oggi, lei ha scelto di adottarne una ibrida. Questo libro è infatti un romanzo che può essere considerato a tratti un memoir ma anche un reportage, dal momento che chi scrive, oltre a narrare in prima persona, assume in alcuni momenti l’atteggiamento di un’investigatrice arrivando a tessere una rete di testimonianze che riguardano il mare. Ma un grande protagonista del libro, bisogna sottolinearlo, è anche il sentimento. A proposito di questo, vorrei ricordare le parole di Daniele Del Giudice che, nel 1988, si interrogava sull’esistenza di nuovi sentimenti oggi, e diceva:
[…] Le idee si prendono e si lasciano, si dimenticano, spesso, come gli ombrelli nei bar mentre il sentimento e il sentire è qualcosa che ha una parte fissa, immutabile, da quando ne abbiamo memoria […]. La letteratura [ha] sempre raccontato questa storia: il mutare dei sentimenti perennemente identici a se stessi. […] Al sentimento e al sentire io do un valore molto ampio, nel senso che nel sentimento […] c’è sicuramente la parte affettiva, c’è la parte emotiva, ma c’è anche la parte che riguarda la percezione del mondo esterno e anche i modelli di pensiero[1].
Queste riflessioni di Del Giudice sul rapporto tra la letteratura e il racconto dei sentimenti ci consentono di introdurre il suo testo, perché anche lei si è inevitabilmente interrogata sulla difficoltà di raccontare i sentimenti oggi. La scelta del tema del mare, un elemento fluido e inafferrabile, è significativa. La sua inafferrabilità è veicolata dalle storie narrate che sembrano mimare il movimento delle onde: si infrangono sulla battigia, volgono in fuga e ritornano ancora, parafrasando alcuni versi della poesia Onde del poeta Mario Luzi. Il libro intreccia le vite di tante persone, come pescatori o madri di pescatori, persino suoi cugini, che lei incontra per condividere con loro un sentimento vitale.
Da dove nasce l’esigenza di scrivere questo libro? Pensando alle forme che possono assumere le narrazioni, qual è il suo rapporto con la letteratura di oggi?
Evelina Santangelo
Io ho avuto l’opportunità di essere allieva di Daniele Del Giudice, e grazie a lui ho capito cosa fa la letteratura quando veicola percezioni, sentimenti, pensieri. Del Giudice dice che noi gestiamo sempre gli stessi sentimenti ma in modi diversi che li modificano. Per spiegare questa idea, parlava dell’amore e diceva che noi viviamo in un contesto in cui gli aspetti materiali della vita entrano in relazione con le scelte letterarie. Egli diceva che oggi per raccontare l’amore basterebbe guardare l’andamento dei tabulati telefonici, per vedere il sentimento che comincia, che matura e che finisce; un amore che nel passato si sviluppava attraverso profluvi di parole, di scrittura e di lettere. Del Giudice aveva una visione molto calata nella realtà materiale delle nostre vite. Noi dovremmo fare i conti con questo quando parliamo di sentimenti cioè le circostanze in cui siamo calati. La vincitrice del premio Nobel 2022, Annie Ernaux, ha segnato un po’ i tempi, perché anche grazie a lei tantissima letteratura ha cominciato a fare i conti con aspetti autobiografici intimi. La scrittrice non si limitava a trasporre sulla pagina la sua vita, ma ne faceva lettura di una generazione, di un tempo, di un periodo storico. Oggi è molto comune questa tendenza, sia tra gli scrittori che tra le scrittrici; anche il mio libro non è semplicemente una trasposizione sulla pagina di un vissuto. Certamente i libri “accadono” nelle vite, e io stessa non posso scindere il momento della scrittura dal momento della vita in cui comincio a scrivere. Io sono una persona profondamente diversa da quella che ha scritto i racconti nella fine degli anni ’90, ho visioni diverse e ho una sensibilità nei confronti della letteratura differente da prima. Questo libro è accaduto in un momento di deriva che aveva a che vedere con l’esistenza, col senso della vita, con la mia tenuta fisica e con un senso profondo di disagio rispetto alle sorti dell’umanità. Io sono una scrittrice che cerca di pensarsi in questo tempo, in queste circostanze, non relegata entro dei confini nazionali, perché non credo che le nostre esistenze si possano chiudere entro dei confini territoriali. In quel momento della mia della mia vita ho sentito fortemente la necessità di trovare una strada. Chi ha seguito la mia scrittura sa che per me essa è ricerca: io, attraverso la scrittura, pervengo ad un senso possibile della vita. In quel momento io avevo bisogno di fare i conti con la perdita radicale di senso, mio e dell’umanità. Questo libro viene infatti fuori dopo il periodo della pandemia da Covid-19, che ho vissuto non solo come un momento di segregazione, ma anche come il male del pianeta: non era soltanto una questione di umani, ma di deriva totale del pianeta. Era anche una questione di responsabilità rispetto ad esso. Da tutto questo nasce il libro. Quello che è venuto prima di tutto è stato il titolo: sentivo che dovevo fare i conti con il sentimento, il modo di sentire le cose, gli altri, il mondo.
Quando ho parlato col direttore editoriale, sapevo solo quale sarebbe stato il titolo. Ho capito che non potevo essere misura del mare, ma che dovevo immergermi nel suo flusso, dentro l’andamento così fluido di una scrittura di cui non avevo idea. Ho compreso che dovevo essere parte di un sentimento condiviso. Per il resto non sapevo come avrei scritto il libro, da dove avrei cominciato e dove sarei finita, che storia avrei raccontato. Sapevo, però, che questo non poteva essere un memoir, né un’autobiografia, perché avvertivo che quella scelta sarebbe stata dettata da una certa presunzione di sentirsi misura del mare. Avrei invece dovuto proseguire con il mio progetto, cioè combattere con la presunzione e l’arroganza dell’uomo nei confronti del mare, che rappresenta il pianeta e l’umanità.
Grazia Aiello
Il suo testo restituisce tutta la «cangiante uniformità» del mare, che a volte sembra un’entità monolitica, a volte distrugge o «onora i defunti e dà requie alle anime». Esso appare fragile a causa dell’intervento, spesso sconsiderato dell’uomo. «L’importante è non pensare mai di dominarlo. Secoli di letteratura di uomini e mare dovrebbero averci messo in guardia da questo genere di tentazioni» (p. 11).
Qual è il rapporto tra questo elemento naturale pieno di vita e i personaggi del libro, che per esso vivono e muoiono?
E. S.
Il rischio era quello di cadere solo nella dimensione del lirismo sul mare, ma mi sono concentrata sul fatto che dovevo riuscire a rendere la dimensione creaturale del mare – un universo pieno di vite, anche aliene – attraverso le vite degli altri. Così ho cominciato a mettermi in ascolto.
Questo libro è stato per me un passaggio da un ripiegamento interiore fortissimo ad un bisogno, una fame di ascoltare gli altri. La sorte mi ha portata a incrociare delle vite particolarmente significative e risonanti dentro di me. L’apneista Fausto Firreri – che ho incontrato in una spiaggia, in una giornata di scirocco, e mi ha parlato della sua passione per il mare e del modo in cui egli si immerge – mi ha fatto entrare per esempio nel mondo meraviglioso dell’apnea. Ma tra di noi c’era un convitato di pietra, cioè il fatto che lui non avesse una gamba, perduta in un incidente stradale in moto. Lui, che era un atleta, aveva subito una devastazione che in qualche modo io ho sentito: era qualcosa che mi risuonava profondamente, perché anche io venivo da una devastazione personale. La cosa bellissima è che, per tutto il tempo in cui parlavamo del mare, noi parlavamo del senso della vita, della possibilità di ritornare a vivere dopo che tutto è perduto. Il mare diventava l’occasione, la possibilità e l’interlocutore. Fausto mi ha detto che la prima cosa che ha fatto è stata mettersi dinnanzi al mare, parlare e sfogarsi con esso quando, giovanissimo, vedeva la sua vita distrutta. Quando si è immerso di nuovo nel mare, ha capito che lì lui poteva essere intero, poteva avere una percezione integra di se stesso e salvarsi. Anche io, che in quello stesso periodo mi accostavo al mare, sentivo che immergendomi in esso, soprattutto nel mare d’inverno, un mare gelido e solitario, un mare in cui io incontravo me stessa e i pensieri più profondi. Lì sentivo anche il mio corpo: per me il passaggio attraverso il corpo è stato fondamentale, perché il corpo dentro il mare mi permetteva di riscoprire una forma di integrità riconquistata.
Tutte le storie che ho raccolto – attraverso il continuo incontro di sentimenti, di modi di stare al mondo di tante umanità che si sono definite, si sono perse e si sono ritrovate – mi hanno permesso di fare un percorso interiore importante. Per me, scrivere questo libro è significato scoprire gli altri e me stessa attraverso il mare.
M. A.
Nel suo libro emerge con forza la dimensione corale del mare, se ne possono rintracciare diverse descrizioni all’interno del testo. Quello che viene raccontato è anche un mare che commuove, è «uno spazio vuoto» (p. 69), persino un mare che ricorda la campagna. Ancora, è un mare che bisogna saper «fronteggiare, rispettare e fronteggiare con lucidità» (p. 137), ma anche assaporare, ascoltare e guardare. Viene in mente Baudelaire, che nella poesia L’uomo e il mare definisce questo elemento naturale lo specchio dell’uomo: «Uomo libero, sempre tu amerai il mare! / Il mare è il tuo specchio: tu contempli l’anima tua / nell’infinito muoversi dell’onda».
Montale, invece, vive il rapporto con il mare come allegoria della condizione esistenziale dell’uomo. Come si legge infatti nella lirica Antico, sono ubriacato dalla voce, che fa parte della sezione “Mediterraneo” degli Ossi di seppia, nel passaggio dall’infanzia all’età adulta il soggetto poetico non si sente all’altezza («non più degno / mi credo») dell’insegnamento ricevuto dal mare ovvero di «esser vasto e diverso / e insieme fisso», sì da liberarsi «d’ogni lordura», esattamente come lui, che rilascia «sulle sponde / tra sugheri alghe asterie / le inutili macerie del suo abisso». E Ungaretti, nella lirica I ricordi, parla del mare come di una «voce d’una grandezza libera», che però è «nemica dei ricordi». Infine, Luzi si associa al tormento del mare e al movimento dell’onda: «il mare viene, volge in fuga, viene, / coniuga tempo e spazio in questa voce / che soffre e prega rotta alle scogliere» (Onde).
Leggendo Il sentimento del mare, ho ricordato questi poeti della nostra tradizione italiana. Quando ha affrontato il tema del mare, le è tornato in mente o ha riscoperto qualche autore?
E. S.
Dentro di me erano molte le voci dei narratori che avevano raccontato il mare, e sentivo in maniera significativa la dimensione di queste scritture che erano perlopiù maschili. Per me raccontare il mare significava mettere la mia sensibilità nel racconto di qualcosa che è sempre stata una faccenda di uomini: si pensi a Il vecchio e il mare o a Moby Dick. I poeti appena citati hanno a che vedere col fatto che la loro sensibilità rompeva una sorta di catenaccio tra la dimensione maschile e il mare. Loro portano una sensibilità nuova, sono voci che hanno messo in discussione la dimensione maschile del mare. Rileggendo la letteratura che racconta del rapporto tra l’uomo e questo elemento naturale, sentivo che non veniva considerata la vastità che accoglie e trasforma tutto in mare. Quello che io racconto è un mare che ha anche una dimensione femminile: non è solo l’onda frangente e gigantesca che travolge, ma è anche fragile. La fragilità non è faccenda che ha a che vedere con l’oceano e col mare della tradizione letteraria, ma per me ha un valore molto importante, come avevano un valore molto importante alcune figure femminili che lavoravano in mare: le donne di Lipari degli anni ’50, che sgravavano i figli mentre svolgevano la loro attività; o le Ama giapponesi, che con i loro corpi opalescenti si immergevano come sirene in mare tantissime volte fino a età avanzata. Mi piaceva fare mia la dimensione di sconfinamento che sentivo presente, e le voci dei poeti citati sono un controcanto totalmente lontano dal conflitto, soprattutto maschile, dell’uomo col mare.
G. A.
Nella tradizione antica il mare è stato rappresentato come uno spazio bianco vuoto. Esso, poi, è anche il luogo delle grandi navigazioni: si pensi a Enea, a Ulisse e al mare della scoperta. Il mare raccontato in questo libro si fa anche un luogo di ricordo, in cui si riscopre l’umanità e la civiltà. Esso è anche il mare dei dispersi, dei fantasmi e dei lutti, dove troppe volte la dignità degli uomini viene dimenticata.
Cosa rappresenta il mare nella questione delle migrazioni? Esso non è solo pόntos da attraversare, ma si configura spesso come frontiera.
Alla luce di quello che accade da anni, come possiamo ripensare il mare, che si fa spazio di identità e memoria, luogo di potere, in cui gli Stati, a seconda della propria politica migratoria interna, continuano ad esercitare la loro egemonia, scontrandosi con gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, nonché con i diritti umani universalmente riconosciuti?
E. S.
In questo libro, tutte le voci delle persone che ho incontrato e che mi hanno restituito la parte più drammatica dello stare in mare, cioè le vite che sono finite in mare, hanno sempre detto «il mare è innocente, siamo noi che non l’abbiamo rispettato abbastanza, che con i nostri limiti non abbiamo capito che stavamo andando al di là delle nostre possibilità». Il riferimento all’innocenza per me è davvero importante, perché noi attribuiamo al mare colpe che sono responsabilità politiche, come quelle sulla migrazione e sulle acque territoriali. Io racconto le vicende di poveri pescatori di Mazara del Vallo che si ritrovano nei fuochi incrociati della guardia costiera libica e hanno le idee chiarissime sulle responsabilità. Loro, che sono persone che col mare hanno dimestichezza, che il mare lo capiscono e lo vivono, sostengono che esso non ha confine, anche se non è inesauribile. Esso non è una risorsa da sfruttare all’infinito, ma è sconfinato: il mare non è mai uguale nello stesso punto, le onde cambiano costantemente al passare delle correnti. Credo che ascoltando le voci di chi il mare lo sperimenta, vive e sopravvive tramite il mare, ne capisce profondamente la natura, si può superare la storia della questione di umani contro altri umani alla deriva in cui questo spazio funge da tribunale. Io ho incontrato un’umanità anche lontana dalle mie visioni, un’umanità variegata, che mi ha fatto capire profondamente cosa significa dire che il mare è innocente.
[1] Daniele Del Giudice, Ci sono nuovi sentimenti da raccontare?, in Id. (a cura di Enzo Rammairone), Del narrare, Torino, Einaudi 2023, p. 216.